Editoriale

Il secolo lungo

di Tommaso Cerno -


di TOMMASO CERNO

Il Secolo breve è quella parte del Novecento segnata dai grandi cataclismi della storia che sembrava avere una data d’inizio, il 1914, la genesi del primo conflitto mondiale posticipata rispetto al primo gennaio del Novecento. E terminare alla fine degli anni 80-90, nel 1991. Ma se guardiamo all’indietro la storia politica del nostro Paese vediamo un secolo lungo che all’inizio degli anni 90 apre fra la politica e la magistratura un conflitto storico, che porta alla caduta di un intero sistema di governo e istituzionale, allo spegnimento dell’anima culturale dei principali partiti politici nati con la Resistenza e seguiti al fascismo, che avevano la medaglia al petto della costruzione di un sistema democratico del Paese che sembrava soccombere sotto i colpi della dittatura fino a poco prima.

Quel periodo di fatto portò gli stessi effetti di una guerra civile, sia nella tenuta istituzionale del Paese sia nella scomposizione culturale degli italiani. E la morte di Silvio Berlusconi, la sua vicenda giudiziaria e politica che si sono intersecate per molti anni, l’idea che la magistratura abbia in qualche modo aperto con lui e il suo governo una seconda stagione di inchieste che potevano portare alla prosecuzione di quella destrutturazione politica iniziata nella Prima Repubblica, ci portava a dire che forse i cataclismi del secolo breve non erano finiti nel 91 con la caduta dell’unione Sovietica.

Il governo ha messo mano al grande tema della Giustizia. Lo ha fatto il giorno dopo funerali di Berlusconi, non perché esista un legame materiale fra questi due avvenimenti, ma perché quella priorità del centrodestra assurge alla luce del clima di scontro italiano a urgenza, allo stesso momento in cui a tutti è chiaro che i ritardi della sistemazione delle normative che stanno alla base delle indagini giudiziarie, dopo decenni di polemiche e di abusi, necessitano di un’attenzione di un dibattito largo proprio per evitare il perpetuarsi della ragione stessa di questa crisi, piuttosto che arrivare a un miglioramento reale.

Ora se vogliamo che questo secolo lungo abbia termine c’è la necessità che il Paese si comporti in maniera matura e che metta da parte lo scontro politico, che in realtà è già ricominciato negli stessi minuti in cui la parola giustizia è stata di nuovo pronunciata, perché questa è l’unica strada per guardare con serenità quanto è avvenuto, a ciò che non funziona e alle strutture del nostro sistema per andare verso una dialettica politica anche aspra che porta il Parlamento a decidere per il bene degli italiani.

Ed ecco che dopo la scomparsa di Berlusconi la destra non può ridurre la sua riforma a una mera reazione a quella che ritiene essere stata la persecuzione del suo leader, ma piuttosto proprio del nome del suo fondatore cercare quella terza via che mostra al Paese che non vi era una questione politica o personale alla base delle richieste che venivano dalla parte che guida oggi il governo. Il senso di responsabilità deve valere anche per la sinistra: basta col berlusconismo che negli ultimi anni è diventata la giustificazione di ogni posizionamento politico, smarrendo la strada di ricerca di un antidoto culturale ai governi di centrodestra e imboccando in tutta fretta quella della fissazione, ragione per cui in questi anni è stato impossibile anche solo discutere da Paese civile del tema più radicato nell’albero della democrazia che possa esistere, appunto la giustizia, in ogni Paese dell’Occidente.

Aggiungendo al danno la beffa, che mentre i partiti litigavano fra di loro, chi pagava il conto erano milioni di cittadini che nulla avevano a che fare con tutto questo, incastrati in un sistema giudiziario rallentato, sgretolato, diseguale che finisce per portare indietro il Paese.


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