Editoriale

Chi tardi arriva

di Tommaso Cerno -

Tommaso Cerno


di TOMMASO CERNO

Ho ascoltato in questi giorni i commenti su Silvio Berlusconi che provengono da sinistra. E ci ho ritrovato un senso di smarrimento, come se il vuoto improvviso lasciato da Berlusconi mostrasse che è stato lui l’unico elemento di unità di un mondo progressista che, come vediamo plasticamente nel Parlamento di oggi, non si trova all’interno di sé. Deve essere per questo che è in corso un tentativo di mantenimento in vita, almeno politica, del berlusconismo.

E’ come se il passaggio dall’era del motore a scoppio a quella elettrica della politica facesse sentire il fronte dem impreparato, come se ci fosse bisogno di un po’ più di tempo, come se in questi 30 anni non ci fossimo mai davvero posti la questione del dopo Berlusconi, proprio quel momento politico che i giornali di sinistra hanno annunciato trionfalmente decine di volte. C’è nell’aria la richiesta di un tempo supplementare di vita istituzionale, culturale, comunicativa, umana del Berlusconi leader perché è chiaro a tutti che quell’antagonismo per quanto non sia stato sufficiente a sconfiggerlo affondava le radici nel contemporaneo, coglieva degli aspetti reali del Paese che cambiava, conteneva insomma in sé almeno la bozza di un antidoto efficace contro una destra di governo.

Tutti elementi che nella battaglia quotidiana contro i fantasmi del fascismo di Mussolini messa in scena per tentare di ferire la portata del governo di Giorgia Meloni non si ritrovano. E’ come se Berlusconi fosse il manico da cui si era in grado di reggere e osservare i propri avversari. Che oggi sono intangibili, inafferrabili. Il dizionario della sinistra non ha parole che davvero descrivano quel dopo di lui tante volte acclamato e per molti anni sperato. Rovesciando la frase più felice della per ora breve navigazione del nuovo segretario del Pd Elly Schlein, quando riferendosi alle truppe cammellate del suo avversario alle primarie Stefano Bonaccini, disse non ci hanno visti arrivare, questa volta la sinistra non ha visto andar via Berlusconi, non nel senso che potesse prevederne la scomparsa ma nel senso che se davvero riteneva che questa destra di governo fosse peggiorativa rispetto a quella che aveva combattuto per oltre due decenni, ci si sarebbe aspettati un alfabeto già adatto a descrivere l’Italia in cui ci siamo ritrovati di punto in bianco all’annuncio di lunedì mattina della morte di Berlusconi.

Ecco che se a destra c’è la necessità che la leadership indicata dagli elettori, cioè quella di Giorgia Meloni, occupi lo spazio di capo della coalizione portando dentro la metrica di governo il lascito culturale di Berlusconi, prima che qualcuno tenti più o meno maldestramente di intitolarselo, operazione difficilissima visto che quello spazio è ben più grande di quanto possano occupare oggi i leader politici in campo soprattutto tra i moderati, è anche vero che a sinistra il venir meno di una materia connotante il pensiero da così tanto tempo ha lasciato vuoti negli interstizi che rischiano di veder crollare quella argilla a cui con fatica il Pd sta cercando di ridare una forma per poterla presentare al più presto al Paese come una novità. Ecco che per Giorgia Meloni le riforme istituzionali diventano centrali. Perché la natura bipolare del Paese è molto legata al berlusconismo e alla sua derivata principale, la mutazione della sinistra in questi decenni in una forza alla ricerca di un leader che accomuni.

Ecco che una struttura che attesti l’esistenza di due alternative in campo per le elezioni scrivendolo dentro la Costituzione metterebbe al riparo la coalizione di governo dal tentativo di annacquare al centro la natura storica di quella idea politica, verso orizzonti diversi che con il sistema in vigore possono trovare una raffigurazione parlamentare capace di trasportare il Paese in un’epoca nuova. È questo cui molti stanno puntando, anche perché non foss’altro per una ragione di affetto intimo e di legame umano, presentarsi oggi alla corte di Forza Italia come il nuovo capo è impensabile. Diventa una questione di tempo, e non più di spazio.


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