Giochi di specchi
Tommaso Cerno
di TOMMASO CERNO
Come in un gioco di specchi il tema della guerra e il tema dei diritti ci mostrano due discrasie opposte. Il premier Giorgia Meloni è certamente per ragioni culturali e anagrafiche più avanti della sua maggioranza sul tema dei diritti, mentre sulla guerra interpreta la posizione di una destra nazionalista perfettamente a suo agio nella difesa armata, anche più intensa di quanto avvenuto finora, dell’Ucraina, nazione invasa dai russi. Eesattamente a rovescio si trova la sinistra di Elly Schlein.
Lì è il popolo progressista autentico ad avere molti dubbi sulla strategia della Nato e sulla dimensione sociale che questo conflitto ormai ha assunto, sia nell’area che proviene dalla sinistra storica laica ed ex comunista sia in quella cattolica di radice democristiana e margheritina. Il tutto mentre il capo del Pd non può esprimere appieno la propria posizione, proprio per non spaccare un partito già in fibrillazione, come ha capito molto bene Matteo Renzi che va alla carica e definisce una linea per il Trzo polo volta ad occupare lo spazio culturale che i popolari europei stanno mettendo all’asta tra chi progetta un’alleanza con le destre alle prossime Europee e chi invece prova a fare da diga.
Una bella grana per il Pd che ha bisogno nello stesso tempo di restare unito e trovare una linea politica unanime per costruire un progetto alternativo da presentare alle elezioni europee, dove i suoi avversari non saranno soltanto le destre, ma appunto i centristi e quei Cinquestelle che si giocano il tutto per tutto dopo il disastro elettorale delle amministrative. Ma dall’altra parte ha bisogno di dialogare in questi due spazi politici se non vuole ridurre la portata del suo ruolo in Italia, ma costruire una base più larga che porti i democratici a guidare il progetto di governo che prima o poi dovrà nascere dentro questo Parlamento per poter sperare di fermare Giorgia Meloni. La scelta che fece Enrico Letta fu quella di alzare molte bandierine, per segnare il suo campo di gioco e lanciare un messaggio a chi voleva partecipare alla costruzione del suo partito che suonava più o meno come un: dentro o fuori.
Ma i fatti ci dimostrano che la strada giusta era quella opposta. Tentare cioè di affermare una dialettica dentro la sinistra che è divisa su temi fondanti l’anima di un partito politico per avanzare verso un’idea di coalizione capace non di rivendicare la paternità di un futuro migliore, ma di costruirlo passo a passo con una dialettica, anche forte, con le altre forze politiche. Ed ecco che il gioco di specchi torna al centro delle decisioni che il segretario del Pd deve prendere in fretta.
L’autunno sarà il banco di prova del Pd di Schlein. E per quel momento dovrà avere non soltanto una piattaforma chiara su cui aprire un dialogo con gli italiani, ma la forza di imporla nel dibattito parlamentare, nel dibattito interno e nel dibattito pubblico. Un passo che ancora non le è riuscito, per il quale ha chiesto tempo, agitando però il dubbio nei suoi rivali sia interni che esterni che il tempo non sia la vera questione che manca al Pd per recuperare quel ruolo di baricentro della coalizione di centro-sinistra che ha sempre avuto. Perfino quando è stato sconfitto alle elezioni del 2018 ha costruito insieme ai Cinquestelle vincitori il governo Conte 2 che in pochi mesi è diventato espressione del Nazareno, aprendo la grande contesa interna fra i grillini che ha portato poi, durante il governo Draghi, al disfacimento del progetto originario di Grillo.
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