Per un pugno di migranti. Piantedosi: “No ai soldi. Gestione europea”
L’Italia a guida Giorgia Meloni la spunta sui migranti, portando a casa la prima vittoria che segna una rivoluzione negli accordi comunitari di accoglienza e asilo. Semplificazione dell’iter dei rimpatri, procedure di frontiera, capacità adeguata di accoglienza, solidarietà obbligatoria tra gli Stati membri, con una quota annuale di migranti da dividere, contributo finanziario per chi non partecipa ai ricollocamenti e modifica delle regole di Dublino: sono questi i punti chiave dell’accordo, votato dai Paesi dell’Ue, che hanno approvato il testo a maggioranza qualificata, dopo una giornata rovente di discussione in cui sono emerse le forti resistenze di Polonia e Ungheria, i due Stati che hanno espresso voto contrario al testo. Motivo del contendere la questione dei ricollocamenti dei migranti tra gli Stati membri e la richiesta dell’Italia di poter disporre i rimpatri anche nei paesi di transito, in modo da superare lo stallo riguardante l’obbligo di protezione per la nazione di primo approdo.
Sul tavolo l’ipotesi che gli Stati di primo ingresso venissero pagati, con un indennizzo di 22mila euro a migrante, per mantenere gli irregolari nei propri territori. Una proposta inaccettabile per il nostro Paese, tanto che il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi lo ha detto a chiare lettere agli omologhi europei: “L’Italia non sarà il centro di raccolta degli immigrati per conto dell’Europa”. E alla fine la posizione di Roma, forte anche di una rinnovata alleanza con Berlino e Parigi, è stata condivisa dalla maggioranza, con i due voti contrari di Polonia e Ungheria e quattro astenuti, ovvero Malta, Bulgaria, Slovacchia e Lituania. Ora sulla base del sottoscritto accordo di solidarietà obbligatoria verranno avviati una serie di negoziati con il Parlamento europeo sui due principali regolamenti previsti dal Patto per le migrazioni e l’asilo, quello sulla procedura di rimpatrio e quello sulla gestione dell’asilo. In pratica, ogni singolo Stato dell’Ue dovrà scegliere se accettare di ricollocare sul proprio territorio una quota di richiedenti asilo arrivati nei Paesi di primo ingresso, che verrà stabilita sulla base del Pil e della popolazione.
I ricollocamenti dei profughi non sono obbligatori, ma chi non accetterà di accogliere i migranti dovrà fornire un contributo finanziario di 20mila euro a persona per ogni irregolare previsto nella propria quota e non ricollocato. Su proposta dell’Italia, che nonostante sia la principale porta dell’invasione in Europa non intende “guadagnare” sulla pelle dei disperati vittime della tratta, quei soldi non andranno ai Paesi di primo ingresso che si vedranno negare la solidarietà, ma confluiranno in un Fondo comune Ue, che sarà istituito e gestito dalla Commissione europea, e che dovrà essere impiegato in quella che Piantedosi ha definito la “dimensione esterna”, cioè per stipulare accordi con i Paesi da cui partono i barconi o in cui transitano i migranti, al fine di finanziare infrastrutture che siano in linea con il grande progetto della premier Meloni, quel Piano Marshall per l’Africa volto a creare le condizioni economiche e sociali in grado di scoraggiare le partenze. L’altro asse dell’accordo riguarda la stretta dei controlli alle frontiere esterne, una misura fortemente sostenuta dai Paesi del Nord, che obbliga gli Stati di primo ingresso a mettere in atto procedure molto più rapide ed efficaci. Allo sbarco o alle frontiere, tutti gli irregolari dovranno infatti essere registrati entro 24 ore dall’arrivo. Da quel momento le autorità statali avranno a disposizione un tempo massimo di 12 settimane per la concessione dell’asilo e altre 12 per eseguire i rimpatri degli irregolari a cui verrà negata la domanda di protezione internazionale.
La stretta dei controlli alle frontiere esterne, seppure richiederà un carico maggiore sia a livello economico sia per l’impiego di personale, dovrebbe limitare il fenomeno dei “movimenti secondari”, ovvero la fuga di quei migranti non adeguatamente registrati all’arrivo che raggiungono altri Stati dell’Ue per richiedere l’asilo nei posti che più preferiscono. Gli sforzi compiuti dai Paesi di primo ingresso nelle procedure più stringenti di identificazione, asilo e rimpatrio saranno ricompensati con un contributo dell’Unione Europea, da quantificare. Ancora, come prevede il regolamento di Dublino, gli Stati di primo ingresso resteranno responsabili dei richiedenti asilo per due anni, ma l’Italia è riuscita a ottenere uno “sconto” di un anno nel caso in cui si tratti di migranti soccorsi in mare. Infine la questione dei “Paesi terzi”, il negoziato più complicato e sul quale l’Italia ha dato battaglia, quello che prevede la possibilità per gli Stati di primo ingresso di riportare i migranti economici irregolari, che non hanno diritto all’asilo, non solo nel Paese di origine, ma anche in quelli di transito, se questi ultimi sono ritenuti “sicuri”, perché rispettano i diritti umani e il diritto internazionale. È il caso, ad esempio della Tunisia. Sulla questione, la Germania ha espresso non poche remore, proponendo poi che gli irregolari siano trasferiti nei Paesi terzi solo di fronte all’evidenza di una “connessione” con quello Stato, come legami di parentela. La quadra è stata trovata a tarda notte: saranno gli Stati membri dell’Ue a valutare, caso per caso, se sussiste la connessione e se il Paese è sicuro.
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