Editoriale

Nient’altro che la verità

di Tommaso Cerno -

Tommaso Cerno


di TOMMASO CERNO

L’ha detto perfino Mario Draghi, che era presidente del Consiglio quando questa guerra è cominciata, ma che in Parlamento all’epoca parlava di sostegno al fine di raggiungere una trattativa di pace da una posizione più forte. Ora si deve vincere. Ma non preoccupatevi, perché la Nato come era evidente da mesi a chiunque non abbia gli occhi tappati invierà i primi soldati non ucraini a combattere sul terreno. Un’azione che ormai viene addirittura annunciata pubblicamente, che come sappiamo bene costituisce un livello 2 della guerra dalle conseguenze non prevedibili. Altra cosa che era chiara a tutti, l’Europa dovrà fare i conti con un’inflazione alta, con tassi di interesse che aumenteranno ancora e di molto, che si scaricheranno sulle famiglie e soprattutto sui milioni di cittadini che sono usciti da tempo da quella fascia economica che si potrebbe chiamare di sopravvivenza. Il problema è che per un anno e mezzo ci siamo raccontati una favola e cioè che la strategia che avevamo messo in campo era l’unica possibile e che questa guerra non riguardava due visioni del mondo, che dividono miliardi di cittadini in blocchi con progetti, valori, alleanze differenti. Ma riguardava solo e soltanto il gravissimo atto di invasione che la Russia aveva fatto sul terreno di uno Stato nazionale. Ebbene ora sappiamo che le questioni in gioco sono molto più grandi. E portano l’Occidente a dichiarare una strategia che finora aveva preferito tenere nascosta. Vincere significa sconfiggere la Russia, significa impegnare forze, mezzi, militari della Nato e farlo più in fretta possibile. Significa quindi dare il via libera a una contrapposizione che sale di livello e costituisce il primo passo di quella escalation di cui abbiamo tanto parlato senza comprenderne il significato drammatico quanto semplice: la guerra può uscire dal confine ucraino, può cominciare a coinvolgere milioni di persone non soltanto dal punto di vista economico e sociale, come già fa dal primo giorno, ma anche militare. Il governo italiano guidato da Giorgia Meloni è dritto su questa linea ed è abbastanza scontato che sia così. Chi invece comincia a traballare è la sinistra, in particolare il Pd, dove le voci che credono che la guerra che ci viene raccontata sia un po’ diversa da quella che stiamo combattendo cominciano a moltiplicarsi. L’ultimo caso di cronaca il vice capogruppo Paolo Ciani, che ha detto con parole chiare quello che pensano tre quarti degli elettori della sinistra, se ancora di sinistra si può parlare in questo Paese. Ma non vi preoccupate perché tanto non si sfonderà quel muro. La linea dei democratici resterà quella della fornitura di armi e dell’allineamento alla Nato su ogni decisione, come fu dal primo istante quando l’allora segretario Enrico Letta pronunciò parole chiare sul fatto che l’unica strategia era la guerra. Ma in questa Italia dalle parti invertite, dove ai poveri parla la destra e alle banche parla la sinistra, dove il salario minimo di stampo fordista è una grande idea dei progressisti mentre la vecchia contrattazione sindacale su cui la sinistra si è battuta per decenni è diventata la posizione del governo Meloni, ci si abituerà anche a una sinistra che le guerre anziché evitarle, scongiurarle, condannarle tornerà a farle. Tanto per distinguersi da chi governa. Basta un cacciatore di saluti romani. Una specie di avvistatore notturno capace di indicare ogni braccio alzato, magari intento a fare altro come nel caso della parata del 2 giugno, per sentirsi forti e diversi. Peccato che questo sia solo un segno di smarrimento culturale e di omologazione totale al conformismo di una sinistra che ha sostituito l’ideale rivoluzionario, con tutte le spazzolature della modernità, con il politicamente corretto. Non solo non c’è un’idea che sia una autentica. Ma quando si dice qualcosa, l’importante è annacquarlo per bene.


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