Cormac ha il tono del profeta e il fardello di chi ha visto il male
di GABRIELE GRAZI
Cormac McCarthy è un figlio di puttana. Un bastardo, un individuo schifoso che non ha nessun rispetto per la brava gente, che se ne vada al diavolo. Perdonatemi questo gergo da western, ma ho passato troppe ore immerso nelle atmosfere di McCarthy e mi è rimasto appiccicato addosso un certo senso di selvaggio, di indomabile. In questo caso specifico indomabile è la sua bravura come scrittore, per questo ho aperto offendendolo. Pensate a tutti quei poveracci e quelle poveracce che stanno scrivendo un libro cullandosi nel sogno di avere una grande penna, di eccellere con la loro futura pubblicazione. Poi in un momento di riposo prendono in mano una delle ultime novità che popolano le librerie in queste settimane, e sfortuna vuole che capitino dentro il mondo di Cormac: ne usciranno a pezzi. Storditi dalla sua maestria, umiliati dalla capacità titanica di creare dei personaggi definitivi immergendo le mani nel fango e putredine dell’umanità. Come affrontare a quel punto la propria ambizione letteraria sapendo che in giro c’è ancora la pistola, o penna in questo caso, più veloce del west? Fortuna vuole che abbia novant’anni e che il suo ultimo libro risalga a circa sedici anni fa… se tanto mi dà tanto difficilmente avrete modo di scontrarvi ancora con lui (a parte il già annunciato “Stella Maris” in uscita a settembre). McCarthy è uno scrittore biblico, capace di osservare tra le fiamme del roveto ardente dell’Esodo e portarci dentro il sommo mistero dell’esistenza. Ma non vi aspettate un amico fraterno, o un maestro amorevole. Se ne fotte di voi, vi concede solamente la grazia di osservare le sue mosse, e se sarete abbastanza svelti e abili da sfruttare la sua scia potrete provare a seguirlo almeno per un pezzo di strada. E’ Ezechiele, è Tito Andronico, è Edipo… ha il tono del profeta e il fardello di chi ha visto il male ed è consapevole che abita le nostre vite, non c’è nulla da fare, non si può sfuggire ad un destino premeditato, inscritto nel nostro inconscio collettivo. McCarthy negli ultimi anni ha lavorato presso un centro di ricerche e studi tra l’altro di fisica quantistica: pur alla sua età ha avuto la forza di esplorare territori di confine. Il libro è un manifesto filosofico, denso di teorie sulla bellezza, di elucubrazioni scientifiche, di richiami alle neuroscienze e alle malattie mentali, sipari che si aprono sulle vicende dei personaggi che si muovono in queste pagine. Eppure il libro appare come un thriller: in un aereo in fondo al mare manca la scatola nera e dei passeggeri registrati ne manca uno all’appello, gli altri sono tutti morti nelle loro posizioni, e l’aereo non presenta segni di aperture o altro. Il nostro protagonista, il sommozzatore che ha fatto la scoperta, presto si sente braccato dalla polizia americana e decide di darsi alla macchia, in un viaggio che diventa un’Odissea del ritorno verso qualcosa che probabilmente non è mai stato, impossibile come l’amore per sua sorella. Volutamente non vi ho citato brani del libro perché chi sono io per sceglierne alcuni? Il mio consiglio di lettura: rigiratevi un sigaro tra le labbra mentre vi scrollate di dosso la polvere di un ennesimo tramonto, buttate giù un whiskey e mettetevi in viaggio verso il vostro modo di leggere.
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