Cultura & Spettacolo

VISTO DA – Yes sir, I can Boogeyman

di Nicola Santini -


Chiaramente l’ispirazione kinghiana c’è. Anche troppo. Ma diversamente è evidente che non si potesse fare. Anche perché quando Dio ha distribuito il senso dell’horror di un certo tipo, la differenza tra King e gli altri l’ha incentrata solo sul dosaggio. Mi spiego. King è 100% King, altrimenti non si chiamerebbe manco così. Gli altri lo sono in versione annacquata o rivista e corretta, quasi sempre esagerando o lesinando da qualche parte. A quel punto uno si guarda King e si mette l’anima in pace. Ma siccome se uno ama l’horror tutto vuole tranne che dormire sonni sereni, è abbastanza normale che poi uno vada a cercarsi King anche dove non c’è. E qua, son cascato io.
The Boogeyman di Rob Savage è, si può dire, tratto da un suo “minore” racconto breve. In italiano che lo cerca può leggerlo nell’antologia il cui nome è un programma “A volte ritornano” messo lì con altre 19 storie più o meno cult tipo Jerusalem’s Lot, che non è ormai nemmeno più da intenditori. Nella versione italiana si intitola Il Baubau, visto che nell’81 The Boogeyman come titolo era ritenuto troppo inglese per esser capito. Ma, ecco, se avessi saputo questo prima di entrare in sala, visto che Babau era l’essere con cui mia nonna mi minacciava di farmi dormire se mi comportavo male e che non mi spaventava manco all’epoca, probabilmente sarei uscito a mangiare un gelato e la cosa che mi avrebbe spaventato di più sarebbero state le infradito con le calze di qualche cliente austriaca della gelateria sotto casa.
E invece in sala ci sono andato e ho visto la storia della liceale Sadie Harper e sua sorella minore Sawyer, sconvolte dalla recente morte della madre che non ricevono quel grande supporto dal padre, Will, un terapista che sta, a sua volta, affrontando il proprio dolore e non ha tempo, voglia, pazienza per loro.
Quando un paziente disperato si presenta inaspettatamente a casa loro in cerca di aiuto, lascia dietro di sé una terrificante entità soprannaturale che va a caccia di famiglie e si nutre della sofferenza delle sue vittime e qua trova, va da sé, pane per i suoi denti.
Tutta la suspence si svolge nelle cabine armadio, il che conquista gran parte della mia empatia. Qui hanno la cabina armadio anche quelli che non navigano nell’oro, e in quelle cabine si possono consumare anche storie atroci. Di nuovo non c’è nulla. Un tot di film già visti e rivisti ci ha arrovellato le budella tra una scarpiera insidiosa e una gruccia contundente. Si poteva fare di più? No, altrimenti sarebbe stata un’altra storia.
In questi antri si annida il babau, ossia il boogeyman, ossia l’uomo nero e con lui tutte le sue pessime intenzioni.
Terrorizzato dall’uomo, dalla sua evidente psicologia inversa e dalla paura che possa far del male a lui e alla sue due figlie, Sadie e Sawyer, Will chiama la polizia, se non che Lester, il paziente psicotico, viene trovato da Sadie impiccato in uno dei ripostigli della casa, con relativo shock su una base già provata dalla morte improvvisa della madre. La situazione comincia a farsi preoccupante quando l’altra figlia, Sawyer sostiene che nel suo ripostiglio si nasconda un mostro spaventoso, sbattendo contro la perplessità del padre e della sorella, finché quest’ultima non decide di approfondire la questione, dando via a un vero e proprio incubo ad occhi aperti, che sì, merita in ogni caso di esser vissuto stando comodi in poltrona.
La scrittura è faticosa, io me ne rendo conto. Si prende un soggetto che tra i tanti, era il meno cinematografico a primo impatto, e lo si trasporta in un territorio differente. Non sempre riesce, non sempre la fedeltà esce dal pappagallo, qui secondo me manca l’effetto sorpresa, ma considerando che chi va a vedere questi film vuole questi pattern, un certo tipo di scaletta, un finale che si sa essere già annunciato, va a godersi il revival e di quello si nutre.
Fa paura? No. Angoscia? Sì. Sorprende? Per nulla. Ma piace. A me piace. Eppure io non sono per gli ibridi e qui l’ibrido c’è eccome. C’è la formula della casa stregata, trita e ritrita vista e rivista, ma ben pensata, ben messa in ombra, ricordandoci che possiamo avere un coraggio da leoni, ma se siamo al buio basta che uno ci dica “Bu” senza che ce lo aspettiamo e bisogna preparare lo straccio per passare sui pavimenti. Oltre c’è il meccanismo psicologico. L’indagine, la famiglia che si ritrova proprio per la ricerca comune della via di fuga. Sarà banale ma continua a piacermi.


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