Attualità

Strumenti digitali per evitare le tragedie restano inutilizzati

di Redazione -


di UMBERTO RAPETTO
La spiegazione di quel che accade è scritta da tempo, scolpita sulla sommità della facciata del Palazzo della Civiltà del Lavoro nel quartiere Eur della Capitale. E’ lì che si legge che “siamo un popolo … di eroi”, come dimostrano le immagini dei soccorsi. E “di navigatori”, di cui si ha evidenza nel vedere la sterminata distesa di acqua che ha abbracciato l’Emilia Romagna nella sua morsa letale. La disperazione di questi giorni si scontra con il silenzio e l’indifferenza che ne hanno preceduto l’urlo. La tragedia, risultato algebrico di mille omissioni nutritesi dell’inebriante burocrazia, è la pagella di fine quadrimestre e sfocia nella autoassoluzione con il tradizionale refrain che porta ad accusare “quelli prima di noi….”. Il disastro idrogeologico, dopo la pizza e il mandolino, può csiderarsi una porzione del DNA dell’Italia e purtroppo le esperienze pregresse poco hanno insegnato a chi avrebbe dovuto provvedere ponendo in essere le necessarie iniziative. Probabilmente l’inerzia è da imputarsi alla preoccupazione che qualunque attività – pluriennale per sua natura – possa concludersi quando al timone ci sono i “successori” portando a non avviare quel che possa valicare il proprio mandato. I tanti atti di valore e di coraggio non avrebbero spazio se tutto funzionasse a dovere. L’audacia, l’ardimento e la nobiltà di intenti rientrano nella straordinarietà che etimologicamente contrasta con la normalità. Le condotte intrepide saltano fuori quando qualcun altro non ha fatto la sua parte, ha sbagliato, ha tradito. Mentre si può gioire degli innumerevoli begli esempi, ci si augura che non ce ne sia bisogno in futuro immaginando che si dia forma ad un modello organico di comando e controllo che riduca ad “ordinaria” la risposta a disastri e calamità. In un’era in cui le tecnologie possono garantire un supporto davvero significativo, piacerebbe sapere che fine hanno fatto i soldi investiti (o purtroppo soltanto spesi) per la realizzazione di un sistema informatico capace di costituire il cruscotto decisionale indispensabile prima, durante e dopo qualsivoglia situazione di emergenza. Si fa un gran parlare (e forse solo quello) di sistemi informatici geografici (GIS il loro acronimo) che sono la dorsale della gestione territoriale e possono rivelarsi uno strumento fondamentale per la modellazione geostatistica, l’analisi idrologica e quella idrogeologica, l’esame e la valutazione di rischi e pericoli ambientali, la geologia applicata e la amministrazione urbanistica. Una soluzione strutturata avrebbe riservato minori sorprese, deludendo le troupe televisive a caccia di nuove località inaspettatamente allagate ed evitando lo scempio dei tanti e troppi talk show del dolore che affliggono più delle catastrofi descritte o commentate. La mappatura – che certo è stata fatta da tempo – e il suo rigoroso aggiornamento avrebbero dovuto rappresentare la base di adeguate simulazioni necessarie per la stesura di piani di intervento non solo postumo. Quasi fosse un cocktail di impossibile confezione, mai nessuno (sennò sarebbe andata diversamente) ha saputo miscelare le opere strutturali di difesa e di artificializzazione con la revisione delle aree rurali e peri-urbane, le misure di ritenzione delle acque, le soluzioni di conservazione delle acque piovane, i sistemi di drenaggio e la riqualificazione fluviale. Database ben alimentati, arricchiti costantemente, condivisi dagli enti statali e locali, forse potrebbero fornire modelli predittivi ma non di rado l’imprevedibilità degli eventi trafigge anche i migliori propositi. Rilevazioni satellitari, sensoristica diffusa, computer, reti, archivi elettronici e software specialistici possono essere l’architettura del pannello di controllo dello scenario in cui agire in considerazione dei dati che segnano l’evoluzione della situazione. Gli strumenti individuali di geolocalizzazione, poi, potrebbero innescare l’individuazione delle persone in aree critiche e davvero l’elenco delle opportunità hi-tech è incredibilmente lungo… Viene da chiedersi a cosa serva il “Geoportale Nazionale” o banalmente quale sia l’esito della cosiddetta “Direttiva alluvioni” (la 2007/60/CE) , entrata in vigore il 26 novembre 2007. Cosa è stato fatto negli oltre quindici anni successivi alla emanazione della norma che ha istituito “un quadro per la valutazione e la gestione dei rischi di alluvioni volto a ridurre le conseguenze negative per la salute umana, l’ambiente, il patrimonio culturale e le attività economiche connesse con le alluvioni all’interno della Comunità” disciplinando “la prevenzione, la protezione, e la preparazione, comprese la previsione di alluvioni e i sistemi di allertamento”?

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