IL TEMPO FRAGILE
Tommaso Cerno
Come un attimo che non finisce, la pioggia diventa un mostro. Uccide, copre tutto, ferma il tempo. Un istante che mostra la fragilità di questa epoca. Fatta di ritardi e omissioni, non solo nel clima e nella tutela del territorio. L’alluvione in pochi attimi colpisce la finanza, mettendo in ginocchio paesi che contavano su decenni di benessere. L’alluvione colpisce il lavoro alzando un mare di povertà, precariato, esposizioni che non avevamo mai immaginato che fosse così rapido cancellare i segni di tanti decenni di progresso e di vittorie sindacali. Un istante basta a distruggere un leader politico che fino a pochi minuti prima sembrava il nuovo dominus dello scacchiere del potere, come un fiume che esonda la rabbia dei cittadini lo sostituisce con un altro che emerge e poi scompare. È un tempo fragile quello che stiamo vivendo, il tempo in cui la scelta è fra un nuovo umanesimo e una tecnologia che proprio come i fiumi dell’Emilia Romagna sta esondando e coprendo gli spazi che erano nostri, dalla tecnologia alla politica, al lavoro, la vita quotidiana sempre più legata a dimensioni lontane dalla nostra decisione e dalla nostra libera scelta. Perfino la guerra è obbligatoria ormai, e funziona allo stesso modo. Un istante che diventa l’inizio di un nuovo calendario che cambia le nostre abitudini e le nostre azioni, i nostri pensieri, le nostre condizioni sociali e di vita. Ed è per questo anche che nel tempo della fragilità gli italiani votano malvolentieri. Non perché la classe politica sia deteriore, a volte lo è in tutti gli ambiti, ma perché hanno la percezione che non sia possibile che chi guida una città o una regione o il governo del Paese creda davvero in quello che promette, visto che ormai la percezione è che il flagello che cambierà le nostre aspettative provenga da una calamità naturale tutta figlia dell’uomo, legata a poteri e interessi sovranazionali, che proprio come l’acqua dell’Emilia Romagna si fa fatica a prevedere, è impossibile da fermare e costa fatica, lacrime è molto denaro rimettere a posto a danno avvenuto. Si tratta di capire se questa direzione ormai è senza scelta e alternativa o se ancora noi possiamo mitigarne gli effetti riprendendo il controllo del processo di decisione politica laddove esso ancora un minimo incide davvero sul quotidiano. Non è una domanda retorica. La risposta potrebbe anche essere no. Ma resto convinto che ci sia sempre una scelta e che la strada non sia davvero segnata, come il destino delle democrazie e dell’Europa. Ma questa decisione non è stata ancora presa. In Emilia Romagna è calata un’altra notte e domani sorgerà il sole. Coperto dalle nuvole. Un sole che farà paura là dietro perché sarà il giorno in cui bisogna contare i danni e cominciare quel lungo lavoro di ripristino che rende più solida una comunità, ma come ci dimostrano le storie recenti di cataclismi e calamità naturali in Italia, dopo il boom mediatico e l’attenzione paranoica di tutti, ogni dettaglio la rende anche più sola. Non so dirvi se vi sarà un nuovo umanesimo, ma potremmo almeno cominciare da qui. Non lasciare solo chi paga prima degli altri la fragilità di questo sistema. E non parlo solo della pioggia.
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