“Il governo parte civile per mio figlio Luca”
“Se non verrà fuori la verità sulla morte di mio figlio, nessun diplomatico italiano si sentirà al sicuro”. A dirlo Salvatore Attanasio, padre di Luca, l’ambasciatore ucciso nella Repubblica Democratica del Congo.
Continuano le indagini da parte delle autorità italiane.
La questione vera è un’altra.
Quale?
Il 25 maggio dovrebbe esserci l’udienza preliminare del processo per due funzionari del Pam, accusati dalla nostra procura di omicidio colposo per non aver garantito la sicurezza di un nostro diplomatico.
Perché utilizza la parola “dovrebbe”?
Il Pam, purtroppo, antepone per questi due personaggi l’immunità diplomatica, un qualcosa che non sta né in cielo né in terra. Non ci troviamo di fronte a un furto, ma davanti a un triplice omicidio. C’è, poi, un secondo filone di indagine aperto dalla Procura, ovvero quello relativo alla dinamica dell’incidente. Una cosa è certa, il nostro governo ancora non si è costituito parte civile al processo e lo dovrà fare entro il 25 del mese.
Cosa succederà se non lo farà?
Considerando che stiamo parlando di attacco allo Stato, perché mio figlio è stato il primo Ambasciatore d’Italia a perdere la vita durante una missione di pace, il nostro Paese ne uscirebbe debole. Si creerebbe, poi, un precedente grave. Nessun diplomatico all’estero si sentirebbe più al sicuro.
Ha avuto dei contatti con qualche esponente del governo?
All’adunata ho avuto modo di scambiare due parole col ministro Crosetto, d’accordo col presentarsi parte civile. Evidentemente, però, ci sono questioni da chiarire con la Farnesina.
Ha fatto abbastanza il dicastero degli Esteri?
Sono due anni che incontriamo politici. Fino a ora solo tante belle parole. I risultati, però, non si vedono. Siamo arrivati alle porte del processo e nonostante le pressioni sull’Onu per togliere l’immunità a questi signori, ad oggi, nulla è’ cambiato.
Perché non si riesce a incidere?
L’Onu si sente forte. Altrimenti non si capisce come mai di fronte a un gravissimo episodio non mandiamo a processo chi ancora non ha spiegato perché non ha garantito la sicurezza del nostro ambasciatore. Ci sono, infatti, protocolli di sicurezza non rispettati e indagini della Procura che parlano di enormi responsabilità e omissioni. Questi funzionari non hanno mai spiegato il perché di un comportamento. Dovremmo, pertanto, porci un solo interrogativo.
Quale?
Cosa ha da nascondere l’Onu? Sarebbe cosa buona e giusta togliere dall’imbarazzo la nostra magistratura.
Cosa chiedono, intanto, gli italiani?
Si chiedono come mai un alto rappresentante dello Stato sia stato trattato così. Luca ha sempre lavorato con onore per il Paese, non solo in Congo. L’Italia dovrebbe alzare la voce. Ne va della dignità dello Stato.
Perché non c’è una forte reazione da parte dell’opinione pubblica?
Chi non ha seguito la vicenda è all’oscuro di tutto. La certezza è che due diplomatici sono stati uccisi, pur non essendo in guerra.
Perché prevale il disimpegno?
Bisogna scoprirlo. Uno Stato che vede ammazzare un proprio rappresentante dovrebbe fare di tutto per un briciolo di verità. Se vogliamo rendere onore ai caduti, visto che non abbiamo il potere di farli tornare in vita, dovremo almeno capire quanto realmente è successo, non diffondere quanto ci fa comodo.
Cosa c’è da chiarire?
Inizialmente si era parlato di un tentativo di sequestro. Andando a leggere bene i verbali, si ravvedono, invece, delle discrepanze in questa ricostruzione. Come dicevo in precedenza, è ancora aperto un filone d’inchiesta sulla dinamica dell’accaduto.
In Congo, intanto, cosa sta accadendo?
È stato terminato il processo. Sono state arrestate sei persone (una latitante e cinque condannate all’ergastolo). Grazie alla battaglia della moglie di Luca, che ha raccolto ben 25 mila firme contro la pena di morte, è dietro alle sbarre chi ha commesso qualcosa di ingiustificabile, ma allo stesso tempo è stato evitato ulteriore sangue. Luca non lo avrebbe certamente voluto.
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