Salute

La frontiera degli organoidi per fare scienza senza animali

di Ivano Tolettini -


La nuova frontiera della sperimentazione per produrre farmaci che combattano le malattie rare dei bambini passa dagli organoidi. È l’obiettivo della Città della Speranza, nata quasi trent’anni fa nel Vicentino e trapiantata a Padova nella straordinaria Torre della Ricerca. Vi lavorano quasi duecento scienziati per “migliorare cure e assistenza ai bambini con patologie oncoematologiche, è quella di abbandonare del tutto la sperimentazione animale”, come spiegano il prof. Eugenio Baraldi, direttore scientifico di Irp Città della Speranza e il collega Maurizio Muraca, coordinatore scientifico.
ETICA
“Non abbiamo dubbi che il futuro è la sperimentazione senza l’utilizzo di esseri viventi come cavie perché siamo consci della dimensione etica. Il nostro centro è all’avanguardia nella messa a punto di percorsi alternativi come gli organoidi perché il modello animale ha dei limiti”, analizza il prof. Muraca incontrando la stampa alla presenza anche del presidente di Città della Speranza, Andrea Camporese, e della prof. Martina Pigazzi, altra punta di diamante della ricerca italiana nell’ambito della oncologia pediatrica con cui a Padova si è partiti nel 1999. Il bambino è dunque il centro del mondo della Città della Speranza, che è punto di riferimento nazionale delle malattie rare, tanto che ogni mattina da 58 ospedali italiani pervengono alla Torre i campioni di leucemie, linfomi, sarcomi riscontrati per far avanzare la ricerca dove la “genetica gioca un ruolo fondamentale”, come sottolinea la prof. Pigazzi, che guida un team di altissima specializzazione invidiato a livello internazionale. “Negli ultimi cinque anni siamo fieri di avere ampliato l’utilizzo dei modelli cosiddetti organoidi o tridimensionali – aggiunge la docente universitaria – , testando farmaci nuovi su modelli che chiamiamo predittivi per ipotizzare quello che succederà nell’organismo umano”.
METODO SOSTITUTIVO
Si stanno sperimentando modelli diversi utilizzando ad esempio organi che arrivano dalle sale operatorie, naturalmente dopo che c’è stato il consenso informato del paziente e con il via libera del comitato etico che presiede a ogni step della ricerca e che ha approvato lo studio, e che sono trasferiti nei laboratori di Corso Stati Uniti a Padova, per prelevare le cellule tumorali dalle quali sviluppare il miniorgano. È una sperimentazione sostitutiva che dovrebbe essere ulteriormente incentivata dallo Stato e favorita dai privati con le raccolte fondi perché i ricercatori padovani sono l’avanguardia di una ricerca che si prefigge obiettivi etici. “È una nuova tecnologia di cui si parla da anni – dice il prof. Muraca – tramite la quale si possono prelevare dal paziente cellule anche dalla cute, i cosiddetti fibroblasti, e che si possono riprogrammare per far ritornare a livello embrionale, quindi diventano cellule totipotenti o multipotenti in grado di generare diversi organi e tessuti per l’organismo”. Il passaggio successivo è la produzione di cellule dell’intestino, del sistema nervoso o del fegato, a seconda della struttura che si vuole rigenerare. “Per noi la dimensione etica è davvero strategica – osserva – e quando affermiamo che il nostro obiettivo è di superare del tutto l’utilizzo degli animali nella sperimentazione più avanzata non vediamo l’ora di avere a che fare soltanto con gli organoidi”.
INVESTIMENTI
Ecco perché al prof. Baraldi, che dallo scorso autunno ha preso il posto della prof. Antonella Viola, piace citare la massima del pemio Nobel Rita Levi Montalcini, per la quale “il Paese che non investe sulla ricerca e sui giovani è un paese senza futuro”. “Io sono convinto che la Torre della ricerca sia la risposta all’affermazione della Montalcini – analizza il direttore scientifico – e il nostro compito è anche quello di colmare il gap tra la ricerca e l’industria, per fare avanzare la scienza secondo un modello sempre più etico”. E la frontiera degli organoidi per abolire la vivisezione va sostenuta con la forza anche della solidarietà finanziaria a tutti i livelli. “Noi creiamo modelli appunto predittivi – conclude Pigazzi – utilizzando le informazioni della diagnostica per curare con farmaci che abbiano alle spalle anche una sperimentazione sostitutiva”.


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