Trifonov: il talento e l’eredità di Rachmaninov
di RICCARDO LENZI
Non è semplicemente l’occasione per commemorare il centocinquantesimo anniversario della nascita di Sergej Rachmaninov, il cofanetto che raccoglie tutte le sue precedenti registrazioni della musica che il russo compose per pianoforte e orchestra (oltre ad alcune trascrizioni, in 3 cd e un blu-ray, editi dalla Dgg), è soprattutto l’occasione per ammirare l’arte di Daniil Trifonov, prosecutore della sapienza che in questo repertorio profusero Horowitz, Richter, Ashkenazy e Van Cliburn. La poetessa Marina Cvetaeva sosteneva che la Russia fosse «solo il limite estremo della facoltà terrestre di comprendere». Ciò che vale per la letteratura, è vero a maggior ragione per la sua musica. Nata quasi dal nulla nell’Ottocento, ci ha dato fior di compositori del calibro di Ciaikovskij, Scriabin, Prokoviev, Stravinskij, Sciostakovic e, appunto Rachmaninov. Oltre che una schiera ammaliante di esecutori, dei quali il trentaduenne Trifonov è l’ultimo rappresentante. Fra i pianisti un talento come il suo non appare più d’un paio di volte in una generazione, se capita. E il talento, vale la pena ricordarlo, è solo la partenza. Ci vogliono in più intuizione, perseveranza e, ancora, lungimiranza, al fine di non interrompere bruscamente la carriera, come molti, troppi suoi colleghi hanno fatto. Ciò che stupisce in Trifonov è che in questi anni egli ha raggiunto un ideale equilibrio di emozioni e intelletto, obiettivo che a musicisti di maggiore esperienza richiede metà della vita artistica. Si percepisce l’acutezza del suo ascolto, che lo guida verso una precisa idea dei suoni di cui ha bisogno, e del modo in cui realizzarli. Eppure dando retta alle apparenze, quando Daniil entra in scena con andatura impacciata, la lunga zazzera castana svolazzante, un sorriso timido, le braccia abbandonate sul busto esile e le pallide mani dalle lunghe dita tremanti, non scommetteresti molto sul suo nerbo di interprete. Ma poi, una volta seduto sullo sgabello, mentre inizia a suonare, avviene la metamorfosi. Allora anche le espressioni del volto diventano spavalde, ironiche, a tratti appassionate. Trifonov vi si conferma appartenere al miglior genere di virtuosismo pianistico del quale, oltre ad apprezzare la consapevolezza delle note suonate, ammiriamo il genio narrativo. Doti che fanno venire in mente le parole di Heinrich Neuhaus, il maestro di alcuni dei più grandi solisti usciti dal Conservatorio di Mosca, ovvero Richter, Gilels e Lupu: «Un critico ha ricordato che la parola “virtuosità” proviene dal latino “virtus” che significa “valore”. Certo, quella virtuosità che noi spesso incontriamo nei pianisti, non solo non ricorda le sue origini latine, ma qualche volta costringe a dimenticarle e in modo piuttosto sostanziale». In Trifonov, come a suo tempo per Neuhaus in Gilels, si tratta della vera “virtus”, in uno stato puro e autentico. In quanto questo “valore-virtuosità” è strettamente legato alle due basilari categorie musicali, al ritmo e al suono. E bellezza, potenza, pienezza, levigatezza, “iridescenza”, come scriveva Neuhaus, sono proprio le caratteristiche del suono di Trifonov. Non casualmente nel cofanetto dedicato a Rachmaninov, compositore che alcuni eseguono privilegiando un virtuosismo esteriore, Trifonov predilige i colori tenui, confidenziali, nobilmente melanconici, riuscendo a far cantare il pianoforte spesso in una dimensione sonora fra il pianissimo e il mezzo piano. il che gli consente di raggiungere una profonda intensità espressiva, evitando un’enfasi eccessiva che contraddistingue altri pianisti del genere di Lang Lang. Il russo gli è diverso nel carattere: timido e introverso, mentre l’altro è giocherellone fino alla guasconeria. E pure nell’espressione della sua arte, nel suono: tanto sottile, lirico, ricco di sfumature, quanto il cinese tende al gesto retorico, plateale, magniloquente. La quintessenza dell’anima russa, verrebbe da pensare leggendo Virginia Woolf in “L’anima russa”, con le passioni contenute ma sempre prossime all’esplosione, come in certi personaggi di Dostoevskij.
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