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Noi italiani e la festa in Bielorussia. L’Europa sbaglia a non essere qui

di Redazione -


di EMANUELE DESSÌ e VITO PETROCELLI
Sono giorni di celebrazioni in Russia e in Bielorussia per la Festa della Vittoria e la liberazione dal nazi-fascismo. Una vittoria della Grande Guerra Patriottica che si è festeggiata ieri, 9 maggio, e che in Bielorussia è sentitissima: tutti sono scesi in strada per celebrare. File interminabili davanti al museo della guerra e della liberazione, tantissime famiglie e tanti giovani in coda per poter essere testimoni della storia, ma anche centinaia di persone hanno visitato i parchi con i monumenti dedicati alla giornata, accompagnati da differenti iniziative culturali e da moltissime persone con le vecchie divise della guerra che ricordano i momenti più drammatici. Due giorni di festa ma anche di incontri per i rappresentanti di NOI (Nuovo Ordine Internazionalista) con delegazioni di vari paesi, ma anche del governo e dei partiti bielorussi. Una celebrazione vissuta insieme al popolo bielorusso, che più di ogni altro si è sacrificato in quel drammatico periodo combattendo il nazifascismo e perdendo oltre 25 milioni di cittadini. Una ferita che nel Paese tutti sentono ancora viva, mentre nel resto del mondo si fa a gara per cancellarla. Primi fra tutti, purtroppo, sono i paesi europei che avvallano le scelte del presidente ucraino Zelensky che, senza colpo ferire, procede in una operazione di cancel culture, trasformando questo giorno di memoria in una festa dell’Europa. Una Europa che però, senza questo intervento di liberazione, oggi non esisterebbe. Quella Europa era nazifascista, che era stata conquistata e stremata dalle operazioni militati di Hitler prima e di Mussolini dopo. In Bielorussia, in questi giorni, questa trasformazione e questo tentativo di trasformazione della storia è stata vissuta come un’offesa e una ferita personale. Ma non si tratta solo di una questione culturale. Anche dal punto di vista economico e geopolitico, oggi stesso, osserviamo e assistiamo alle ennesime sanzioni verso alcuni Paesi: un modo per cercare ancora di far immaginare un mondo che vive una sola realtà e che un piccolo numero di persone (dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea) possano determinare le scelte dell’intera economia mondiale, decidendo a proprio piacimento. Anche in Russia ci sono stati i festeggiamenti: a Mosca Putin ha ricevuto tanti presidenti provenienti dai Paesi asiatici, tanti anche quelli provenienti dai Paesi dell’ex Unione Sovietica, tra cui il presidente bielorusso Lukashenko, che ha posticipato il proprio intervento nella piazza di Minsk, proprio per potersi recare nella capitale russa. Proprio a Minsk, lunedì, abbiamo sentito le dichiarazioni del presidente russo Putin a ricordo delle celebrazioni del 9 maggio. In poche parole, il presidente russo si è chiesto “perché io devo giustificare l’intervento russo quando, invece, sono io l’aggredito da anni”. Cioè da quando, negli anni ’90 la Nato, “gli allora nostri amici americani ed europei” avevano garantito “che non saremmo mai stati attaccati”, né mai insidiati e che nessuno “sarebbe andato un centimetro più a est”. Invece è successo il contrario: continue proposizioni di strategie solo militari e solo di oppressione, sino al colpo di stato in Ucraina che ha visto lo scatenarsi di una guerra in una regione ampiamente russofona. Un territorio che è stato colpito in quanto russofono e per cui l’esercito russo ha dovuto organizzare l’operazione speciale per rispondere all’invasione da parte della Nato, al contrario di come viene raccontato. L’aggredito, ricorda Putin, è stato sempre la Russia e a cui oggi comincia ad affiancarsi la Cina. Le statistiche delle ultime ore sulla vendita di armi sono chiare. Gli Stati Uniti hanno investito miliardi e miliardi di dollari nella produzione di armi: una dimostrazione di un Paese in cui il governo sta investendo esclusivamente nella gestione del militare, rispetto a quanto accade nel resto del mondo, dove i Paesi cercano di investire sulla pace, sulla cultura, sul sociale, sulle relazioni di amicizia tra Stati. Gli Sati Uniti e la Nato – che da loro dipende – investono esclusivamente in armi e in sistemi di propaganda falsa e inversa da quella che invece è la realtà. E tutto questo, in Bielorussia, viene percepito con rammarico. Si nota anche dall’approccio con cui questi cittadini si approcciano agli italiani: il loro sentimento è assimilabile alla tristezza, quella che hanno nell’assistere alle dichiarazioni dei nostri politici e a osservare la chiusura che è stata posta di fronte alle possibilità di relazioni di amicizia, ma anche e soprattutto alla chiusura nel voler fermare la guerra. Una chiusura che si nota, in primis, nel non voler firmare per il referendum che blocca l’invio delle armi in Ucraina. Ma senza una inversione nello stile e nella qualità dei rapporti tra gli Stati, non si fermerà mai la guerra. Il presidente bielorusso Lukashenko aspetta di essere riconosciuto come tale: nessuno Stato può permettersi di dare l’etichetta di democrazia ad altri Paesi, perché questi devono avere il diritto all’autodeterminazione. Dobbiamo pensare a un mondo multipolare dove con tutti si possono avere relazioni diplomatiche, ma anche di amicizia e commerciali. Questo è quello che pensa la delegazione NOI ed è anche quello che pensano da questa parte del mondo. Con la guerra si stanno creando due blocchi contrapposti sempre più incattiviti, dove la stragrande maggioranza dei Paesi tende ad ignorare il conflitto, che invece vede la morte di tanti civili e militari. Quello in Ucraina viene visto come un conflitto regionalistico e ciò ha fatto perdere la fiducia sia nei confronti dell’Europa che degli Usa da parte di tutto il mondo sudamericano, africano e asiatico. Tutto il resto del mondo, tolto il duo Europa e Usa, è coalizzato culturalmente, economicamente e in futuro anche (forse) militarmente per difendersi da questo atteggiamento neocolonialista che hanno messo in piedi gli Stati Uniti (e la Nato) che pensano di decidere chi ha la patente di democrazia. Un atteggiamento di parte con cui vengono giustificati gli attentati terroristici fatti a danno dei cittadini russi, colpevoli, perché non allineati al pensiero occidentale. Una condotta vergognosa che legittima il terrorismo, dopo la legittimazione di un governo che arresta i giornalisti e cancella i partiti di opposizione e da cui vogliamo prendere le distanze. Ci danno fiducia, delle fiammelle di speranza, come il comitato referendario per lo stop all’invio di armi e le iniziative volte alla pace di piccoli o grandi movimenti che cercano di mantenere relazioni con tutti i Paesi del mondo, soprattutto Brics e non allineati. Una fiammella di speranza contro la follia bellicista e la presunzione di inviolabilità che hanno i Paesi occidentali.

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