Cultura & Spettacolo

Fiorella Breglia: “Cucino per amore”

di Nicola Santini -


143 mila Follower incollati sul suo profilo Instagram e 4milioni di visualizzazioni su Tik tok parlando di cose buone da mangiare, arte del ricevere e storia della cucina. Fiorella Breglia è un’istituzione nel mondo del cibo. Una passione che non vuole definire mestiere, nata quando era ancora una bambina e che è cresciuta con lei e con tutti gli amici che quotidianamente mette a tavola on line e off line.
Come inizia la tua avventura tra i fornelli?
Ho iniziato da piccolissima. Vengo da una famiglia di cuoche napoletane, donne con una antichissima e grande cultura del mangiar bene. Un gesto d’amore e dedizione per chi si ama. Mia madre con le sue sorelle trascorrevano dalla mattina alla notte le loro vite dietro ai fornelli, fiere del loro ruolo. In questi riti quotidiani coinvolgevano noi bambini. Appena si allontanavano inserivo un piccolo ingrediente nuovo, che poteva essere una foglia dell’orto, un pezzo di formaggio… mi piaceva sperimentare e dare un apporto creativo. Era una cucina di casa. Lunga. Ci passavamo le giornate intere. Il mio personalizzare era un modo per farmi notare, ma anche la risposta a un istinto: sentivo profumi e mi veniva in mente come metterci del mio. Poi con gli anni, mi sono sposata presto, aggregavo amici, e con la nascita dei miei figli anche i bambini e le loro famiglie. Ho sempre amato ricevere, per cui la cucina è sempre stata il mio primo pensiero della mattina. Un occhio in dispensa, le mie basi pronte, preparate nei giorni prima… La cucina è il più grande aggregante. Arrivare in una casa dove non c’è niente di pronto ad attenderti non ti fa venir voglia di rimanere. Con questa convinzione, ho acceso i riflettori sui miei fornelli usando i social, condividendo la sola cosa che desidero: tramandare, cucinare con dignità, con bellezza, passione e attraverso la cucina, un tacco, il rossetto e un sorriso, dare valore a uno dei più grandi tesori del nostro Paese.
Parli solo alle donne?
No, ma ho iniziato con loro. Immaginiamo però un bell’uomocon un grembiule che porta un piatto di pasta a tavola. Un sogno…
Napoletana che vive anche a Milano, il meglio delle due tavole…
Per la cucina napoletana penso al rosso, il pomodoro, la passione, l’amore. A Milano è l’oro, lo zafferano, l’oro dentro di noi.
Cosa dovrebbero imparare i napoletani in tavola dai milanesi?
A fare più cose, più piccole e per tutti i gusti. Si gode un pezzetto alla volta, un po’ di tutto, parlando di cucina contemporanea.
E cosa dovrebbero imparare i milanesi dai napoletani?
A cucinare la pasta. Le paste risottate, che poi non sono così complicate, visto che il risotto qua è una tradizione. Ma ancora c’è da lavorarci su.
Il piatto che rappresenta più di ogni altro l’italianità?
Lo spaghetto al pomodoro. Un’arte difficilissima farlo.
Il tuo segreto per renderlo memorabile?
La cromaticità. Tanti pomodori diversi e una foglia di basilico.
Voglio un’esplosione di colori.


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