Politica

“Così è cambiato il lavoro la sinistra guarda indietro Meloni? Tagli il cuneo”

di Edoardo Sirignano -

MICHEL MARTONE


“Il mondo del lavoro è cambiato. La sinistra non può guardare più indietro. Stesso discorso vale per il sindacato. Chi è al governo, intanto, deve destinare quante più risorse possibili alla riduzione del cuneo fiscale”. A dirlo Michel Martone, giurista e viceministro del lavoro e delle politiche sociali nell’esecutivo presieduto da Mario Monti.

Considerando che ci avviciniamo alla festa del primo maggio, la lezione del professore Biagi nel 2023 è ancora utile?
Sono passati venti anni dalla sua scomparsa. Il mondo è profondamente cambiato. Ci sono state due crisi economiche globali, una guerra, una pandemia. Tutti aspetti che hanno modificato sia il senso del lavoro che il modo in cui lo si concepisce. Nonostante ciò, molte delle intuizioni di Marco Biagi sono ancora attuali.

Sono state tutte realizzate?
Solo in parte, purtroppo. Penso a tutti i servizi per l’impiego che dovevano rafforzare il lavoratore, su cui è stato fatto pochissimo. L’Italia è cambiata molto, ma la politica ancora non ha capito bene proposte, che ancora oggi sono all’avanguardia.

Su quali aspetti la classe dirigente, in un momento di crisi, dovrebbe concentrare le attenzioni?
Sulle necessità di proteggere e valorizzare il lavoratore nel mercato del lavoro, al di fuori del rapporto che ha con il suo lavoro. Mi riferisco all’empowerment dei lavoratori e ad altri aspetti, su cui non si è fatto abbastanza.

Nell’epoca dei robot, c’è ancora nello stivale chi guadagna quattro euro all’ora. Non le sembra un’anomalia?
Sotto questo profilo, le cose sono anche peggiorate rispetto a venti anni fa. In Italia la prima emergenza è quella retributiva per i giovani e non solo. Stipendi, che erano già più bassi, rispetto a quelli degli altri paesi europei, sono stati ulteriormente erosi dall’inflazione, mentre il cuneo fiscale contributivo resta ancora troppo alto.

Rispetto a ciò, cosa può fare chi è a Palazzo Chigi?
Destinare quante più risorse possibile alla riduzione del cuneo fiscale.

Altro problema, intanto, è quello delle cooperative che diventano società. Da una parte si prendono i fondi statali e dall’altra schiavizzano i loro dipendenti. Non le sembra un controsenso?
Fenomeni, come la diffusione del lavoro nero o chi costringe i propri collaboratori a condizioni a dir poco dignitose, in alcuni settori, purtroppo, sono in aumento. Servono risposte, che tardano ad arrivare.

Da oltre un decennio, su tali questioni, si parla molto e si fa poco…
Per combattere davvero forme di sfruttamento sempre più diffuse bisogna migliorare i servizi effettivi, ma anche porre le condizioni purché sia più semplice fare impresa nei territori disagiati.

Cosa ne pensa della linea del governo Meloni su questi temi?
L’ esecutivo di centrodestra sta facendo quanto promesso in campagna elettorale. Ha ridotto le risorse per l’assistenza, attraverso il prossimo dl Lavoro. È importante, però, che tutti i soldi recuperati siano destinati alla formazione e alla riduzione del cuneo fiscale. Così non si fa cassa sui poveri.

Quale la sua idea rispetto al reddito di cittadinanza voluto dal Movimento 5 Stelle. È attuale oppure no?
Tutte le statistiche ci dicono che è stato molto utile durante la pandemia e meno in una situazione di normalità. Negli ultimi mesi, infatti, le richieste si sono drasticamente ridotte.

Giorgio Cremaschi sostiene che il sindacato non svolge al meglio il suo compito in una società in cui i deboli sono sempre meno rappresentati. È d’accordo?
Stiamo parlando di un mondo profondamente mutato. La pandemia ha cambiato la testa delle persone e anche il senso del lavoro. Gli stessi concetti di tempo e luogo di lavoro, oggi, assumono un significato diverso rispetto a qualche anno fa. Lo smart working, la riduzione dell’orario cambiano le esigenze. Il sogno dei giovani non è più il posto fisso, ma un qualcosa che ti consente di realizzarti in base al risultato. Il sindacato se non vuole scomparire deve riuscire a farsi interprete di nuove istanze di modernizzazione. Dopo il Covid, ad esempio, si cerca un miglior rapporto tra impiego e vita privata. Stiamo parlando di concetti fondamentali, che non possono e non devono essere ignorati da chi ha il compito di rappresentare le diverse categorie. Sarebbe bello udire nelle manifestazioni del Primo maggio messaggi in tal senso.

La sinistra come dovrebbe comportarsi rispetto a tali cambiamenti?
L’avvenire della sinistra è legato alla sua capacità di reinterpretare i bisogni di un mondo del lavoro diverso rispetto a qualche anno fa. Problemi nuovi richiedono soluzioni innovative. È sbagliato cercare di dare ai problemi del moderno lavoro risposte novecentesche.

A cosa si riferisce?
Basti pensare a quanto poco si è parlato dello smart working nel corso dell’ultima campagna elettorale, quando invece è un tema che riguarda la vita di ciascuno di noi.

I passi in avanti, fatti durante la pandemia, quindi, sono stati già buttati nel cestino…
No! La pandemia è stato un acceleratore di processi già in corso. Quanto imparato durante quel periodo, oggi, viene applicato. C’è sempre una percentuale di persone più alta che svolge al meglio il proprio mestiere da casa. Detto ciò, cresce anche il numero di chi chiede la riduzione dell’orario di lavoro, a testimonianza di come appunto si è sempre più pronti a rispondere sugli obiettivi raggiunti e meno sul tempo impiegato.

Il Pnrr (Pino nazionale di ripresa e resilienza) può dare un contributo per quanto concerne i temi riguardanti lavoro e politiche sociali?
Dipenderà da quanto e come verranno utilizzati questi fondi. Possono essere importanti per dare una spinta al nostro sistema economico. È importante spenderli bene. Altrimenti aumentiamo soltanto il nostro debito e ciò non possiamo permettercelo.

In Francia c’è un popolo che scende in piazza per una semplice riforma delle pensioni. In Italia ci sono molte più difficoltà, ma in strada non si intravede nessuno. Perché?
La Francia ha una tradizione da sempre rivoluzionaria, in particolare i parigini. Basti pensare ai gilet gialli. L’importante è mantenere il senso di comunità, continuare ad agire insieme agli altri. Sarebbe un errore cadere nell’individualismo. Le persone devono mantenere il gusto di raggiungere obiettivi insieme. È normale, poi, che a un movimento di lotta e rivolta preferisco un concerto. Speriamo che a Piazza San Giovanni ci siano tanti lavoratori che possano godere di una buona musica.


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