SHUBERT E L’ARTE SUBLIME DEI LIEDER
DI RICCARDO LENZI
Per chi ama la musica e la cultura tedesche l’incontro con il Lied è un appuntamento irrinunciabile. Il Lied è una tipica espressione musicale di quel mondo sin dal Medioevo e, semplificando, si distingue sia dall’aria che dalla monodia accompagnata non tanto per la forma, quanto per la semplicità della sua linea melodica, oltre che per la profondità dei testi. Il più grande protagonista e divulgatore di questi Lieder è considerato il baritono Dietrich Fischer-Dieskau, e proprio a lui è dedicato il cofanetto in 107 cd “Complete Lieder Recordings on Deutsche Grammophon” che raccoglie l’intera opera liederistica che egli incise, oltre che per la casa tedesca, per la Philips e la Decca, in cinquant’anni di storia discografica, dal 1949 al 2003, riuscendo a valorizzare un patrimonio che con la tragedia della seconda guerra mondiale rischiava di venir disperso. Fra i grandi compositori di Lieder quello che più ammalia i melomani è Franz Schubert, ovviamente il più presente in questo box. E, fra gli altri, c’è un Lied dal significativo titolo “An die Musik” (Alla musica) sul testo di Schober, che potrebbe rappresentare, grazie ai suoi versi, il programma portante dell’operazione culturale che questi capolavori sottendono: «Sovente un sospiro del tuo salterio, un tuo divino accordo m’ha schiuso un celeste mondo migliore; o arte sublime, io ti ringrazio». Sereno, con gli occhi rivolti verso un insondabile punto in lontananza, Fischer-Diekau cantava queste note e queste parole con un portamento e una concentrazione che stavano fra la preghiera, l’inno e l’intima confessione. Come avviene per i grandi cantanti, da Maria Callas ad Alfredo Kraus, la sua voce flessuosa, estesa dal mi grave al si acuto, è immediatamente riconoscibile, grazie ai toni estremamente espressivi, al legato e al fraseggio tuttora ineguagliati. Anche dall’ascoltatore inesperto. In queste registrazioni accompagnano il cantante alcuni dei più grandi pianisti che devono la loro fama non soltanto a questo repertorio. La fa da padrone Gerald Moore, il cui sodalizio con Fischer-Dieskau nel nome di Schubert ha fatto epoca e poi, fra gli altri, Alfred Brendel, Vladimir Ashkenazy, Christoph Eschenbach, Sviatoslav Richter e Daniel Barenboim. In particolare quest’ultimo ha ricordato, a proposito del baritono, come in passato si desse per scontato che un cantante si dedicasse o all’opera o ai Lieder, ma raramente a entrambi. Fischer-Dieskau cantò senza indugi o pregiudizi di sorta opere di Verdi o di Puccini, così come oratori e brani di musica contemporanea. Ma la sua più grande conquista è forse quella di aver dato una risposta definitiva alla fatidica domanda: «Prima la musica o prima le parole?». Infatti nelle sue esecuzioni sapeva creare come pochi l’unità fra il testo e la musica, ponendo l’accento sulla dizione ed enfatizzando le parole chiave variando il timbro della nota su cui la parola veniva cantata. Ottenendo il risultato che ogni sillaba e ogni nota suonassero insieme e quindi creassero un’armonia e un colore mai più raggiunti da altri. Barenboim esemplificava: «Prendiamo a esempio la parola “morte”: egli non solo ricorreva a un colore specifico nel pronunciarla, conscio della straordinarietà di tale parola, ma sapeva anche quale colore usare per la nota su cui era cantata». Il risultato finale fu che col suo talento Fischer-Dieskau creò una nuova dimensione di comprensibilità e intellegibilità del testo. Così accade per tutti gli autori affrontati in questo cofanetto: da Berg a Pfitzner, da Schumann a Brahms, da Wolf a Henze, i cui Lieder, nei loro contenuti più sottili, vengono come “tradotti”, “spiegati” a un più largo pubblico. Il ritratto d’artista è completato da un documento audio “From my life”, da un’ampia intervista su cd e da un libretto di 240 pagine con saggi di Michael Wersin e Cord Garben, oltre a numerose foto e documenti inediti provenienti da collezioni private, dalla Staatsbibliothek zu Berlin e dagli archivi delle case discografiche.
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