DESTRA IN CARROCCIO
Tommaso Cerno
Se c’era una cosa che il Paese si aspettava dalla destra di Giorgia Meloni era una politica netta sull’immigrazione. Poche parole. Fatti. Certo una politica di restrizioni, ma capace di restituire una idea chiara del governo, una visione – magari contestabile – ma avanzata del tema: ognuno a casa sua, di autarchica memoria. E invece eccoci qui, nell’Italietta buona a niente, a scimmiottare i giallo-verdi del governo Conte Uno. A riproporre le ricette di quel governicchio durato il tempo di un mattino, che ha prodotto solo scontro sociale e processi penali. Senza risolvere nulla della questione epocale: mezzo miliardo di persone si stanno spostando verso l’Europa, mentre noi non siamo in grado di riceverle né di dare loro una reale prospettiva di vita. E così anche il Meloni 1 diventa un po’ più verde, per buona pace del Capitano che da un po’ di tempo incassa sondaggi con il segno più e una certa silenziosa (altra novità politica da non sottovalutare) presenza pesante nel governo. Risultato: Salvini ringrazia. E punta alle Europee.
E’ vero che il premier Meloni ha posto con maggiore forza di quanto fece Conte la questione in Europa. Ed è pure vero che, a parte le bizze di Macron delle prime settimane, fortunatamente il presidente francese ha altri problemi adesso, se qualcuno non se ne fosse accorto, Meloni ha incassato se non un via libera europeo alle restrizioni invocate dall’Italia almeno un non expedit. L’Europa ci lascerà fare. Eppure, a quasi sette mesi dal voto politico che ha portato la prima donna a Palazzo Chigi, le politiche sull’immigrazione del governo sono confuse e hanno un respiro emergenziale che si sviluppa su poche settimane, l’idea cioè di passare la nuttata, di salvare il salvabile. E non certo di proporre un piano europeo di intervento capace di dare agli italiani l’impressione che qualcuno ha preso finalmente in mano la questione dopo anni che si tirava a campare.
Questa omissione produce due conseguenze negative per Meloni. La prima è l’impressione di essere spiazzati da uno dei fenomeni più storicizzati della modernità, non il massimo per un governo che ha puntato proprio su quella parola per ottenere il voto degli italiani e prendersi la guida del governo. La seconda è che risulta così esplicita la citazione leghista-grillina nei provvedimenti che via via vengono assunti da questa maggioranza, che l’unico che ci guadagna nei sondaggi e nella visibilità è Matteo Salvini, che negli ultimi mesi sembra in fase di inversione della crisi leghista che sembrava ormai irreversibile. Un elemento emerso anche dal voto amministrativo, in particolare al Nord. In Lombardia con il primo segno “più” dopo anni di discesa. E il bis in Friuli dove il Carroccio ha relegato i Fratelli d’Italia al secondo posto, staccati dai sondaggi nazionali di oltre 10 punti e la lista del suo presidente Fedriga al terzo, con un risultato complessivo doppio rispetto ai meloniani. Un piccolo, ma emblematico disastro politico. Giorgia lo sa bene. Ed era già corsa ai ripari qualche settimana fa, dopo la tragedia di Cutro, inserendo Guido Crosetto nella catena di gestione di marca leghista Salvini-Piantedosi. Anche se per ora la mossa non sembra sortire alcun effetto.
E’ vero che il premier Meloni ha posto con maggiore forza di quanto fece Conte la questione in Europa. Ed è pure vero che, a parte le bizze di Macron delle prime settimane, fortunatamente il presidente francese ha altri problemi adesso, se qualcuno non se ne fosse accorto, Meloni ha incassato se non un via libera europeo alle restrizioni invocate dall’Italia almeno un non expedit. L’Europa ci lascerà fare. Eppure, a quasi sette mesi dal voto politico che ha portato la prima donna a Palazzo Chigi, le politiche sull’immigrazione del governo sono confuse e hanno un respiro emergenziale che si sviluppa su poche settimane, l’idea cioè di passare la nuttata, di salvare il salvabile. E non certo di proporre un piano europeo di intervento capace di dare agli italiani l’impressione che qualcuno ha preso finalmente in mano la questione dopo anni che si tirava a campare.
Questa omissione produce due conseguenze negative per Meloni. La prima è l’impressione di essere spiazzati da uno dei fenomeni più storicizzati della modernità, non il massimo per un governo che ha puntato proprio su quella parola per ottenere il voto degli italiani e prendersi la guida del governo. La seconda è che risulta così esplicita la citazione leghista-grillina nei provvedimenti che via via vengono assunti da questa maggioranza, che l’unico che ci guadagna nei sondaggi e nella visibilità è Matteo Salvini, che negli ultimi mesi sembra in fase di inversione della crisi leghista che sembrava ormai irreversibile. Un elemento emerso anche dal voto amministrativo, in particolare al Nord. In Lombardia con il primo segno “più” dopo anni di discesa. E il bis in Friuli dove il Carroccio ha relegato i Fratelli d’Italia al secondo posto, staccati dai sondaggi nazionali di oltre 10 punti e la lista del suo presidente Fedriga al terzo, con un risultato complessivo doppio rispetto ai meloniani. Un piccolo, ma emblematico disastro politico. Giorgia lo sa bene. Ed era già corsa ai ripari qualche settimana fa, dopo la tragedia di Cutro, inserendo Guido Crosetto nella catena di gestione di marca leghista Salvini-Piantedosi. Anche se per ora la mossa non sembra sortire alcun effetto.
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