La verità nascosta sul massacro dei delfini
Gli orrori dietro ai delfinari. La verità nascosta del massacro dei delfini a Taiji, in Giappone. La brutale pratica che ha sconvolto il mondo. Più di 22 mila morti ogni anno. Da Settembre a Marzo, i cacciatori radunano centinaia di esemplari, spingendoli verso una baia dove vengono violentemente uccisi per la loro carne. I più giovani catturati per essere venduti ai parchi. Una crudeltà inutile, oggetto di pura indignazione internazionale, durante la quale i cetacei sono sottoposti ad uno stress immenso e soffrono di una morte prolungata e dolorosa. Nonostante le numerose proteste da parte degli attivisti per i i diritti degli animali, la pratica continua ancora oggi. Il metodo utilizzato per la caccia è noto come drive hunting. Prevede l’uso di barche attrezzate con reti, lance e coltelli, consentiti legalmente per spingerli verso riva e ammazzarli. Tuttavia decenni di contestazioni non sono riusciti a placarla. Il governo giapponese la difende a spada tratta, sostenendo che è una parte integrante della loro cultura e una fonte di cibo per il popolo. Precisiamo che la vendita e il consumo di carne di delfino rappresentano un grave rischio per la salute umana, visti gli elevati livelli di mercurio che contiene. Affermano inoltre che la caccia è condotta in modo totalmente corretto e che solo un piccolo numero di animali viene ucciso annualmente. Un’organizzazione in prima linea negli sforzi per fermare il bagno di sangue è il Dolphin Project, fondato dall’ex addestratore del Miami Seaquarium, Richard O’Barry. Si tratta di un gruppo non-profit che lavora per proteggere i mammiferi marini attraverso la ricerca, l’educazione e la difesa sul campo. Hanno documentato ampiamente la loro macellazione, portando l’attenzione mediatica globale sull’orribile tradizione. Il loro progetto ha anche esposto la connessione tra l’industria giapponese e quella dei cetacei in cattività. Molti dei delfini catturati nel cosiddetto “covo della morte” sono infatti venduti ai parchi marini di tutto il mondo, in cui vengono costretti ad esibirsi per il divertimento del pubblico. Il Dolphin Project è stato fondamentale per denunciare le condizioni e i maltrattamenti che affrontano in cattività, aumentando la consapevolezza sull’importanza di proteggere questi animali intelligenti e sensibili. Il massacro ha guadagnato ancora più attenzione di recente dopo l’uscita del documentario “Seaspiracy” su Netflix. Prodotto dal regista Ali Tabrizi, il film esamina l’impatto della pesca commerciale sulla vita marina e l’ambiente. Si focalizza sull’overfishing, la pesca intensiva, e l’impatto devastante che sta avendo sugli oceani del mondo. Sostiene che le pratiche di pesca commerciale non sono sostenibili e causano danni irreparabili agli ecosistemi marini. Evidenzia la brutalità dell’uccisione delfini, così come la complicità di molte organizzazioni internazionali e governi nel permettere che continui. L’uscita del film ha scatenato un rinnovato sdegno e molte proteste. L’appello viene lanciato per una maggiore regolamentazione nel settore, nonché un passaggio a pratiche più etiche. È stato elogiato per il suo potente messaggio capace di ispirare azione e cambiamento. Il Dolphin Project e documentari come “Seaspiracy” sono essenziali per aumentare la consapevolezza su questo problema e l’incessante lotta per proteggere i delfini, fino a quando la caccia disumana avrà fine. Spetta a tutti noi agire e chiedere cambiamenti, per garantire che questi animali siano protetti e trattati con il rispetto e la dignità che meritano.
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