Si riapre il processo di Erba la nuova difesa di Olindo e Rosa
di Rita Cavallaro -
Un capitolo in fondo mai chiuso, nonostante la sentenza in via definitiva, che potrebbe riaprirsi con nuovi testimoni, prove mai analizzate e l’eventualità che gli assassini di Erba possano lasciare la cella in cui sono rinchiusi da sedici anni. Quella luce in fondo al tunnel, che i coniugi Olindo Romano e Rosa Bazzi non hanno mai smesso di anelare e che si è fatta sempre più strada con le indagini della difesa per la richiesta di revisione del processo, ora è più che una probabilità. Perché, finché a sostenere l’innocenza dei vicini assassini c’era solo il loro team difensivo, l’ago della bilancia è rimasto fermo su quella sentenza di condanna con cui la Cassazione, nel 2011, ha inflitto l’ergastolo a Olindo e Rosa, accertando che sono loro gli autori della strage di Erba dell’11 dicembre 2006, quando nella corte di via Diaz vennero brutalmente ammazzati Raffaella Castagna, 30 anni, il suo bimbo di due, Youssef Marzouk, la madre Paola Galli, di 70 e la vicina di casa 55enne, Valeria Cherubini, mentre il marito di quest’ultima, il 65enne Mario Frigerio, sopravvisse per miracolo allo sgozzamento, grazie a una malformazione congenita alla carotide. Ora, invece, a sollevare dubbi sulla pronuncia di ben 26 giudici in tre gradi di giudizio c’è il sostituto procuratore generale di Milano, Cuno Tarfusser, che ha depositato una relazione in cui chiede di riaprire il processo contro Olindo e Rosa, perché i nuovi testimoni e alcune intercettazioni inedite sarebbero sufficienti per sostenere la revisione del processo. La relazione di Tarfusser, il quale ripercorre i punti fondamentali dell’istanza che la difesa depositerà nei prossimi giorni alla Corte d’Appello di Brescia, è stata trasmessa al procuratore generale Francesca Nanni e all’avvocato generale Lucilla Tontodonati, a cui spetta la decisione riguardo alla circostanza che la Procura di Milano affianchi la richiesta di revisione del processo a quella della difesa, presentandosi insieme ai condannati nell’udienza davanti ai giudici bresciani, i quali dovranno stabilire se Olindo e Rosa meritino un’altra occasione dibattimentale. D’altronde, seppure i vicini di Erba sono stati riconosciuti colpevoli della strage e puniti con l’ergastolo, su quelle sentenze sono rimaste una serie di una serie di incongruenze mai chiarite, alle quali si sono affiancate negli ultimi anni due nuovi testimoni, reperti mai analizzati, ma ritenuti rilevanti per il team difensivo, e perfino alcune criticità sull’unica prova scientifica che ha collegato Olindo e Rosa alla scena del crimine, oltre a una serie di intercettazioni inedite che svelerebbero come la memoria dell’unico sopravvissuto sia stata manipolata. Per capire le motivazioni che potrebbero spingere la Corte ad accogliere l’istanza di revisione dobbiamo ripartire da quella tragica sera della mattanza, l’11 dicembre 2006, quando i vigili del fuoco, allertati per un incendio in un appartamento di via Diaz ad Erba, intervennero convinti di spegnere il fuoco e si trovarono davanti a una strage. A ricostruire il delitto una perizia tecnica della criminologa Roberta Bruzzone, consulente del team di Olindo e Rosa, allegata al dossier che l’avvocato difensore Fabio Schembri è in procinto di depositare.
L’analisi della scena del crimine e le modalità del delitto rafforzano la pista alternativa che almeno due assassini esperti, e non certo i Romano, avrebbero agito con furia cieca e premeditazione. I killer, infatti, avrebbero staccato il contatore della luce già dalle 17.30, come emerge dai dati Enel, e avrebbero atteso all’interno dell’appartamento l’arrivo di Raffaella Castagna, che sarebbe stata l’obiettivo degli aggressori, mentre le altre vittime sarebbero una sorta di danno collaterale. Poco prima delle 20.30 due abitanti della corte, richiamati dal fumo, avevano tentato di prestare soccorso. Sul pianerottolo c’era Frigerio, agonizzante e in un lago di sangue. Erano poi entrati in casa e, vicino alla porta, si erano imbattuti in un corpo con gli abiti in fiamme. Era quello di Raffaella, trascinata fuori ma ormai già morta. “Mia moglie è su”, aveva tentato di avvisare Frigerio con un filo di voce. E dal piano superiore si sentivano le urla di Valeria, che chiedeva disperatamente aiuto mentre il suo aggressore le sferrava il fendente mortale. “Tutte le vittime sono state attinte da una chirurgica “tecnica di produzione” delle ferite da scannamento, una sorta di “firma comportamentale” che non può essere ricondotta ad una mano inesperta”, si legge nella perizia della criminologa Bruzzone, che sottolinea come “l’ipotesi da privilegiare in base alle tracce ematiche è che le vittime siano state aggredite da qualcuno che si trovava già all’interno dell’abitazione al loro arrivo”. Una circostanza che emerge anche dalla testimonianza degli inquilini del piano inferiore, che avevano raccontato di aver sentito dei passi nell’appartamento di Raffaella già intorno alle 18, orario in cui in casa non c’era nessuno. Gli assassini avrebbero sorpreso la mamma di Youssef mentre, entrata nella casa buia, richiudeva la porta. Avrebbe tentato di scappare, come dimostrerebbe il sangue sul muro del corridoio e sulla parte interna della porta mai sottoposto ad analisi, ma sarebbe stata sgozzata in camera da letto. Subito dopo sarebbe toccato alla mamma Paola Galli, trovata con il cranio fracassato e scannata. Infine al piccolo Youssef, ucciso con un unica coltellata sul divano. A causa del fumo, Valeria e Mario si erano presentati alla porta, andando incontro al terribile destino: Frigerio colpito con il fendente alla gola, la moglie con 43 coltellate, in un’aggressione che per la difesa non si è consumata davanti all’appartamento di Raffaella, come sostengono tre gradi di giudizio, ma è iniziata sul pianerottolo, da dove la donna è fuggita, lasciando le impronte di sangue sul muro della scale, per ripararsi in casa sua, dove è stata uccisa da un colpo così profondo da tagliarle la lingua. Per la criminologa quella lesione non avrebbe consentito alla Cherubini di poter gridare “aiuto”, motivo per il quale gli assassini erano sulla scena del crimine quando i primi soccorritori erano intervenuti. I coniugi Frigerio, dunque, sono vittime occasionali “che hanno fatto infuriare gli aggressori”, sottolinea Bruzzone, e “che li hanno costretti, con ogni probabilità, a fuggire attraverso i tetti delle abitazioni limitrofe o dal balconcino di casa Castagna. Non certo attraverso la corte, ormai affollata dai condomini preoccupati e dai soccorritori”. Quel balconcino dove c’è un’orma insanguinata finora mai analizzata. Forse l’impronta di un assassino mai scovato.