I CONSIGLI DEL LIBRAIO
DI GABRIELE GRAZI
“Il gigante sepolto” di Kazuo Ishiguro
C’è un certo fascino nella caduta. Lo sgretolarsi lento e inesorabile di un qualche cosa di bello non ci lascia indifferenti, e in maniera sotterranea, proibita e distorta, alimenta un senso di perdita nel quale tuttavia ci crogioliamo. Tutta l’epoca romantica ci ha lasciato del resto un segno indelebile nei quadri, nei romanzi, in un’indole melanconica che si strugge in mezzo alle rovine. Kazuo Ishiguro con questo libro evoca, come un dio caduto del cui corpo abbandonato la natura ha preso il sopravvento, brandelli di memorie obsolete eppure vivissime. Come la Venere di Nike, che pur a pezzi e con il corpo martoriato dal tempo e dalle avversità ci sfida con il suo enigmatico messaggio di vittoria. O come il tempio di Capo Sunion, dove Lord Byron incise il suo nome. Andò a combattere una guerra a lui estranea in Grecia solo per il senso di attrazione che vestigia di un antico passato suscitavano nel suo animo, e in un tempio decadente decise di lasciare una sua traccia incidendo il suo nome in una colonna. Un gesto che oggi ci appare infantile eppure che sussurra la ricerca di un’identità che si costruisce anche con i brandelli di una memoria collettiva che nei secoli non smette di cantare la sua grandezza. Rovina e grandezza, mistero e fascino per un un remoto perduto che bisbigliando ci chiama. Ecco gli elementi che fondano questo capolavoro del premio Nobel per la letteratura Ishiguro. Siamo in Inghilterra, in un’epoca che capiamo collocarsi dopo il mitico Regno di Artù, e seguiamo il viaggio di una coppia di anziani alla ricerca del figlio. C’è come una nebbia densa, collosa, che si espande per tutto il paese, e che sembra bagnare ogni fuoco che possa accendere una certezza, gettando tutto a marcire nell’umidità della perdita della memoria. Cosa siamo senza memoria, sia personale che collettiva? Siamo semplici comparse su questa terra d’ombra e di riflessi stranianti o il nostro passaggio lascia solchi importanti? E questi lasciti mantengono il loro senso originario o si perdono in mille contaminazioni? Per affrontare questi temi sfuggenti, sensibilissimi, Ishiguro utilizza ogni sfumatura delle potenzialità della scrittura, portando sulla scena ambientazioni costellate dal fantasy, con draghi e prodi cavalieri donchisciotteschi, con un’eleganza che trasuda la sua autobiografia, sintesi dei suoi natali orientali e della sua formazione europea, dove la lentezza zen e la potenza della voce si uniscono in maniera mirabile. E’ un libro di avventure, filosofico, fantasy, di crudo realismo: semplicemente bellissimo. “Ma siete proprio certi, mia buona signora, di volervi liberare di questa nebbia? Non è forse meglio che le cose rimangano nascoste alle nostre menti? – Sarà così per qualcuno padre, ma non per noi. Axl e io desideriamo riavere i bei momenti vissuti insieme. Ne siamo stati derubati (…) che tornino anche quelli brutti, seppure ci faranno piangere o tremare di rabbia. Non è comunque la vita che abbiamo vissuto insieme?”. Un consiglio su come leggere questo libro? Trovate un’antica rovina nella vostra città. Sedetevi nel suo angolo più nascosto, sconfiggete il drago della paura, del giudizio, del pregiudizio e chiedetevi chi davvero voi siate.
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