Macron: “State bon”
Galletti in fuga. Non è il sequel di Chicken Run, capolavoro di animazione di Pathé e DreamWorks, ma quanto sta avvenendo nel Terzo Polo. I polli ovviamente sono Matteo Renzi e Carlo Calenda. Questi ultimi, dopo solo sette mesi di matrimonio politico, sono arrivati quasi al divorzio, evitato solo da un terzo incomodo proveniente da oltralpe. I due, d’altronde, da mesi, convivono da separati in casa. Il fiorentino trama strategie a lungo termine, aspettando i transfughi forzisti e qualche vecchio discepolo piddino deluso dalla gestione Schlein, mentre il romano si distingue per istintivi cinguettii. A parte i tweet e le invettive di uomini e donne della Leopolda contro “er signore dell’uccellino blu”, gli interessi alla fine prevalgono o meglio ancora i moniti provenienti dalla vicina Francia. Ecco perchè in serata arriva quella che qualcuno ha chiamato una “pace dovuta”. Le ostilità non sono certamente finite, ma la sopravvivenza è la priorità. “Azione e Italia Viva – dichiarano i due leader – devono fondersi e diventare un solo partito entro il 2024. Non c’è altro”.
Il gallo e i polli
Non si può, d’altronde, disubbidire al mentore che vive sotto la torre Eiffel. Se la premier Meloni minaccia quotidianamente il vicino collega sui migranti, quest’ultimo ha il pieno controllo sui padroni del centrismo nazionale. Dopo aver saputo della quasi scissione, secondo un’indiscrezione proveniente direttamente da Bruxelles, Emanuel, dal suo studio di Parigi, avrebbe chiamato l’ex premier e il suo ministro, dicendogliene quattro. Avrebbe intimorito i protagonisti della contesa, mettendo in discussione addirittura l’utilizzo del simbolo “Renew Europe”. Il gruppo, d’altronde, appartiene al primo inquilino di Palazzo dell’Eliseo, non a Sandro Gozi o a Nicola Danti. Non c’è amicizia che tenga in tal senso. A Parigi servono alleati forti e non partitini ad personam. Le beghe delle due prime donne del Terzo Polo non sarebbero piaciute ai cugini liberali, che vogliono amici forti, che possano fare da contrappeso a Giorgia e non ragazzini che bisticciano. Ecco perché lo stesso Macron avrebbe chiamato l’amico Matteo e gli avrebbe detto di finirla, almeno fino alle europee. Così riferisce qualche fedelissimo renziano. La diatriba non piace ai rappresentanti delle due fazioni a Bruxelles. Considerando l’avvicinarsi delle elezioni, senza la bandiera di “Renew” vorrebbe dire una sconfitta sicura. Ciò non conviene a nessuno, né è utopia, considerando le ultime batoste di Lazio, Lombardia e Friuli. Uscire da quello schieramento, sia per Calenda che per il giglio, inoltre, vuol dire perdere risorse preziose e soprattutto prestigio. Ecco perché i due litiganti, alla fine, dovrebbero continuare la loro guerra solo internamente o magari a suon di comunicati, ma senza cambiare i piani nei palazzi che contano.
Le casse vuote della capitale
Spaccarsi, d’altronde, non favorisce nessuno dei contendenti, neanche nelle grandi aule capitoline. Qualora venisse ufficializzata la spaccatura, i parlamentari di Azione e Iv dovrebbero aderire alla compagine mista. Rinunciare al gruppo, però, vuol dire perdere diversi milioni di euro. Un tesoretto, a cui soprattutto Calenda, non può rinunciare. Le sponsorizzazioni su Twitter, anche i bambini lo sanno, non sono gratuite. Se Matteo ha qualche amico facoltoso in giro per il pianeta, basti pensare a diversi sceicchi, le casse del partito nato nei Parioli, dopo le amministrative nella capitale, le politiche e le ultime regionali, sarebbero quasi vacanti.
Il pizzicotto sulla pancia
Per tale ragione, meglio darsi qualche pizzicotto sulla pancia e andare avanti. Non sarà certamente semplice. Italia Viva pure se cederà la leadership e non è detto (si vocifera, ad esempio, di una promessa fatta dal giglio a Luigi Marattin), certamente non consentirà ad Azione di farsi una dimora su misura. Anche nell’ultima riunione dei renziani, la parola d’ordine è dare precedenza ai congressi territoriali. Un metodo, però, inaccettabile per un movimento non radicato come quello di Calenda. Diversi i big di Azione che rischiano di essere messi ai margini. Qualcuno si sarebbe mosso addirittura d’anticipo. Gli indiziati numeri uno sono ovviamente gli ex ministri forzisti. Non basta la smentita di Mara Carfagna su Twitter per escludere che i berluscones, nel caso di un nuovo partito conservatore, possano tornare alla base. Da qui arriva il durissimo appello di un preoccupato Carletto di “mettere subito nel cassetto Italia Viva per dare vita al nuovo soggetto”, invito a cui il buon Matteo non può tirarsi indietro. Intercettato all’ingresso di Palazzo Madama, deve mettere fine alla telenovela: “Quando nasce un partito nuovo – dice il fiorentino – è normale che si sciolga quello vecchio. Non sarò candidato al congresso. Ho preso un impegno che era quello di fare un passo di lato”. Dichiarazione che vale più di mille parole.
Un giglio che guarda lontano
Il furbo Renzi non può trasgredire ai diktat di Francia: occorre, senza indugiare, allargare il perimetro. In tal senso, avrebbe aperto a qualche amico azzurro. La promozione a direttore responsabile di Andrea Ruggieri, ex parlamentare di Fi, può avere due chiavi di lettura. La prima è che, non fidandosi dell’ex ministro, sia alla ricerca di nuovi alleati, anche fuori dal tradizionale perimetro del centrosinistra, sempre più affollato, considerando l’avanzata di Schlein e la resistenza di Conte. Quale migliore appoggio del partito di Silvio? Quest’ultimo ruggisce ancora, ma certamente non ha la forza per grandi e nuovi progetti. I berluscones, certamente, preferiscono gli amici della Leopolda a quelli che il Cav ha definito “traditori”. La seconda, invece, è che Matteo voglia cuocere, come dice l’antico detto, il polipo con la sua acqua. Mandare avanti Calenda, per farlo bocciare dall’opinione pubblica. A livello mediatico, non c’è partita con Carlo e il capo dei rottamatori lo sa bene.
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