Attualità

IN-GIUSTIZIA – Figlio mortale

di Redazione -


DI ELISABETTA ALDROVANDI

Quando Monica Marchioni apprese dalla Tv che a Bolzano due coniugi erano stati uccisi, e che per l’omicidio era stato arrestato il loro figlio maschio Benno, disse al marito che la sera sarebbe stato meglio chiudersi a chiave in camera.
Non aveva nessun sentore di trovarsi in pericolo, e nonostante quel figlio poco più che maggiorenne le desse qualche problema, non riteneva che la situazione fosse grave.
Alessandro, dopo la maturità aveva voluto prendersi il cosiddetto anno sabbatico. Non studiava, aveva lasciato tutti i lavori che la mamma gli aveva procacciato, ma gli piacevano le cose costose, che la sua famiglia, seppure in buone condizioni economiche, non poteva permettersi.
E così, se non poteva avere le sneakers da centinaia di euro, si teneva quelle vecchie, logore e usurate.
Era fatto così, lui.
O tutto, o niente.
E dev’essere stato con quel chiodo fisso che, giorno dopo giorno, ha iniziato a progettare l’assassinio di sua madre e del marito, un uomo che conosceva e con cui viveva da anni, tanto da considerarlo il suo vero papà.
Li avrebbe avvelenati con il nitrito di sodio, scelto dopo un’accurata ricerca su Internet.
L’omicidio perfetto nella sua testa, ma pieno zeppo di errori nei fatti.
E così una sera di aprile di due anni fa, dopo molte insistenze, li convince a cucinare per loro le penne al salmone.
Un piatto che non piace alla madre, che lo assaggia appena, mentre il marito lo mangia tutto, soprattutto per dare soddisfazione a quel ragazzo cui vuole bene come a un figlio.
Ma il veleno segretamente mescolato al condimento fa subito effetto. Appena terminato il piatto, Loreno inizia a stare male e si accascia sul divano.
Monica non riesce a soccorrerlo, perché è intontita dalla seppur limitata quantità di veleno ingerita e perché Alessandro la distrae portandola in camera da letto, dove cerca di finire il lavoro porgendole un bicchiere d’acqua in cui ha sciolto altra sostanza venefica. Davanti al rifiuto, il giovane decide di passare alle maniere forti: aggredisce la madre tentando di soffocarla, e mentre la donna cerca di sopravvivere, suo marito, nell’altra stanza, sta morendo. Allertate le forze dell’ordine dai vicini, Monica si salva. Viene ricoverata in ospedale, mentre suo figlio è arrestato.
Lei prenderà piena coscienza di quanto accaduto mesi dopo, quando vedrà le immagini del cadavere di Loreno, e si troverà faccia a faccia col figlio in una fredda aula di tribunale: «Pensare al suo ergastolo mi fa male, ma voglio che paghi» sono state le sue parole.
Un ergastolo di solitudine e pentimento, che deve avere indotto Alessandro a confessare, a sorpresa, durante il processo di appello, ciò che aveva sempre negato, tanto che era arrivato addirittura ad addossare la colpa della morte di Loreno alla madre. Confessione che non ha portato nessun vantaggio processuale, perché i trent’anni di carcere stabiliti in primo grado sono stati confermati in secondo grado.
L’ergastolo è stato evitato probabilmente in considerazione della giovane età del ragazzo e della sua incensuratezza, ma l’auspicio migliore è che la condanna, oltre che punitiva, sia anche e soprattutto riabilitativa, e che prima o poi quella mamma che ha tentato di uccidere possa perdonarlo.
È incomprensibile come un giovane, cresciuto in un contesto familiare valoriale e attento ai suoi bisogni, maturi un tale odio nei confronti della madre e di colui che considerava come un padre, al punto da progettare, e mettere in pratica, il loro omicidio.
Al punto che colei che l’ha messo al mondo, quando ne parla, lo chiama l’”assassino”.


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