DI LOTTA E DI FASCISMO
Tommaso Cerno
Deve essere una rivoluzione davvero di quelle che non vedi arrivare, perché la sinistra riparte da un Pd che a giudicare dalle facce era esattamente quello che avrebbe potuto nominare Stefano Bonaccini. Deve avere un’arma segreta Elly Schlein, quella cioè da sorprenderci non con ciò che non ci aspettiamo, ma evidentemente con il prevedibile. Deve credere talmente tanto nella sua idea di una sinistra nuova da infondere nei dirigenti della nuova segreteria democratica, gente che abbiamo visto dai tempi di Bersani passare in tutti gli organismi dirigenti seguiti alle vicissitudini del Partito Democratico, da Renzi a Martina, da Letta all’ultimo congresso, tali da prepararci la grande sorpresa di vedere improvvisamente lo stesso partito diventare un altro. Perché la scommessa è solo questa ormai. La sinistra deve uscire non tanto dalle elencazioni dei suoi temi, che come una litania ormai conosciamo tutti, quanto dalla percezione generale che ha trasferito al Paese di essere diventata una forza politica che possiede tante parole d’ordine, ma poi nei fatti si comporta sempre allo stesso modo. Il segretario del Pd si è preso una pausa di Pasqua. E ci attendiamo tutti alla fine di questi giorni di festa una resurrezione progressista, che in poche parole significa ricominciare ad ascoltare una sinistra capace di dirci qualcosa di nuovo, qualcosa che parli al Paese profondo, ai milioni di poveri, alla precarietà che non è più uno stato del lavoratore ma uno stato d’animo. Continuo a fidarmi. Penso che quanto visto finora dal giorno della vittoria alle primarie non sia il Pd che Elly vuole, anche perché se fosse questo tanto valeva tenersi Enrico Letta. Ma c’è una questione che pongo. E riguarda il bersaglio del governo. È vero che serve per governare un Paese democratico una chiara affermazione di distanza culturale dal fascismo. Ed è anche vero che di questi tempi non può essere data per scontata, benché siano passati 80 anni ormai dalla caduta di quel regime, però contesto alla sinistra il fatto che di fronte a un governo che sta lentamente prendendo in mano il Paese, la sinistra colpisca sempre e solo in quel punto. Come se non avesse ancora individuato l’antidoto alla destra, ben diversa da quella degli anni Venti, che ha portato Giorgia Meloni a guidare il governo. Questa fatica quotidiana, del tutto inutile stando ai sondaggi e agli esiti elettorali, rischia di essere una fatica di Sisifo se qualcuno non riuscirà a individuare quale sia davvero nel 2023 il vero punto debole, l’anello che non tiene, Il bersaglio giusto per ferire davvero la destra che il Pd ha il compito di sconfiggere nelle urne. È un viaggio molto più difficile di questo tiro al bussolotto che continua giorno dopo giorno in Parlamento e in televisione. Buono per dirsi fra gruppi di amici che abbiamo un governo che non ci piace, ma assolutamente inefficace da proporre a milioni di Italiani per dare loro la formula giusta per credere che questo Paese possa davvero tornare a votare il centro sinistra. Giorgia Meloni lo sa bene. E ha cominciato da tempo l’allargamento del suo partito, verso mondi di centro-destra che non solo nulla hanno a che vedere col fascismo, ma che derivano da correnti politiche e culturali che negli anni tanto cari alla sinistra di opposizione, gli anni 30 e 40 del Novecento, parteciparono proprio alla costruzione della Resistenza e, dal fronte conservatore e cattolico, contribuirono tanto quanto la sinistra all’abbattimento del regime mussoliniano. Se noi non abbiamo il coraggio di dirci questo, finiremo per essere nostalgici non di un’Italia che non tornerà più ma di una retorica che in un momento come questo è solo un fardello in più da portare addosso nella difficile battaglia per costruire un’alternativa progressista a questo governo.
Torna alle notizie in home