Il rimpatrio dei cervelli Vajont delle contraddizioni nella sfida delle crescita
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di FOSCA PELLEGRINOTTI MARI*
Il sistema legale italiano è uno dei più sofisticati al mondo, ma anche il Vajont era una diga ingegneristicamente perfetta. È un paragone forte, me ne rendo conto, ma credo sintetizzi bene l’idea secondo cui, perché un sistema funzioni, ha bisogno di componenti sinergici più che individualmente perfetti. Le nostre politiche fiscali e sociali alimentano una pericolosa polarizzazione tra lavoratori e imprese, trasformando gli attori economici in nemici anziché alleati ed eliminando quel ruolo di complementarità tipico di un’economia solida. Ormai l’evasione fiscale è elevata a sussidio economico nascosto, quello che io chiamo “bugia bianca”. Detto ciò, comprendo la necessità di adoperarsi per riportare in patria i cervelli perduti, ma non sono sicura che l’Italia oggi abbia bisogno di talenti che tornano perché sedotti da qualche spicciolo. Credo che il nostro paese dovrebbe aspirare a riportare a casa espatriati ambiziosi, il cui ritorno è mosso dalla riconosciuta opportunità di poter contribuire alla crescita propria e della propria nazione e non invece da qualche incentivo, per il quale il prezzo da pagare sarà se scegliere l’una o l’altra. Si rischia di creare una malsana competizione tra cervelli in cerca di impiego, dove chi torna vince su chi non è mai partito. Non è mia volontà sminuire l’Italia nel confronto con gli Stati Uniti, trovo tuttavia che il paragone tra i due paesi offra spunti di riflessione interessanti. È una semplificazione ragionevole definire gli Usa un sistema che lascia spazio all’autodeterminazione. L’assenza di un codice regolatore che gestisce rigidamente le dinamiche del vivere sociale fornisce una maggiore autonomia decisionale che, tuttavia, pretende anche una maggior proattività e quindi responsabilità. D’altra parte, si è anche muniti di strumenti che facilitano tali decisioni e che, soprattutto, favoriscono sinergie positive tra il mercato e i suoi attori. Un sistema contabile e fiscale sostenibile – affiancato dalla severità delle sanzioni legali che ne puniscono la violazione – disincentiva l’evasione. Le aziende e gli individui possono quindi crescere con il sistema invece che a suo discapito. Un mercato del lavoro che non fossilizza l’impresa e il lavoratore in rapporti improduttivi, economicamente e psicologicamente drenanti, crea un contesto meno garantista ma potenzialmente più efficacie e dinamico, che spinge entrambe le parti a eccellere. L’impresa è libera di accordarsi con il dipendente sui termini del rapporto di lavoro ed entrambe le parti sono libere di interromperlo in qualsiasi momento e senza impedimenti amministrativi particolari. Questo incentiva le assunzioni, liberando le imprese dal rischio di incastrarsi in un rapporto infruttifero. Per contro, le spinge a fornire remunerazioni competitive per non perdere risorse valide, che troverebbero agilmente alternative più convenienti poiché si affacciano ad un mercato del lavoro dinamico. Il lavoratore è stimolato a performare per non perdere il suo impiego, ma non è costretto ad accettare condizioni salariali inadeguate rispetto alle sue competenze; Trovo che l’Italia abbia il dovere di essere la migliore versione di sé stessa e questo richiede un approccio serio e interessato a curare la malattia, non il sintomo. A a chi oggi guarda alla Grande Mela come il luogo dove costruire la propria carriera, mi sento di dire che gli States possono certamente dare grandi opportunità a patto che ci siano impegno e disponibilità mentale. Questo è un contesto che può dare molto a chi è disposto a recepire il che, talvolta, vuol dire anche ridimensionare le aspettative e spogliarsi di qualche preconcetto. Resto dell’avviso che la qualità della vita italiana sia complessivamente superiore e che la “nostalgia di casa” possa giocare un ruolo importante se non si ha una missione chiara.
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