Comuni e privati una Santa Alleanza per salvare il Pnrr
DAVIDE D'ARCANGELO- DIRETTORE GENERALE PROMETEO
Da sogno a incubo, il Pnrr sta svelando le falle del sistema Italia. Un Paese chiamato a riformarsi, ma che, per farlo sul serio, dovrebbe ripartire dalle basi. Il piano nazionale di ripresa e resilienza, prima ancora che ricostruire l’Italia, servirebbe a rifarla. Partendo dalla Pa. Questa è la sfida. E, nonostante tutti i segnali non sembrino incoraggianti, forse c’è ancora tempo per rimediare. E non fallire il più importante degli obiettivi, che, fuor di retorica, è davvero quello di garantire un futuro al Paese. Ne è convinto Davide D’Arcangelo. Economista, è uno dei maggiori esperti italiani di politiche industriali, fondi europei, corporate finance e politiche industriali. Consulente per la transizione digitale di numerose amministrazioni pubbliche, fa parte di diverse task force operative italiane sul tema delicatissimo dell’innovazione. È fondatore del club deal investor Next4, vicepresidente di Impatta, ed è presidente dell’associazione Public Innovation Manager.
La pubblica amministrazione italiana sta scoprendo che rischia di non farcela con il Pnrr. Mai come questa volta, si potrebbe dire: ve l’avevamo detto…
Purtroppo sì. Lo dicemmo quando lanciammo l’idea del public innovation manager. Alla Pa italiana mancavano, da anni, le figure e le competenze necessarie per affrontare il Pnrr. Occorreva un’azione energica e non era facile. Anche inserire competenze solo verticali, come per esempio solo informatici o solo esperti di gare pubbliche, non avrebbe risolto il problema strutturale. Occoorre visione, coordinamento. Con una battuta: non basta mettere cinquanta musicisti in un teatro per fare un’orchestra…
Purtroppo sì. Lo dicemmo quando lanciammo l’idea del public innovation manager. Alla Pa italiana mancavano, da anni, le figure e le competenze necessarie per affrontare il Pnrr. Occorreva un’azione energica e non era facile. Anche inserire competenze solo verticali, come per esempio solo informatici o solo esperti di gare pubbliche, non avrebbe risolto il problema strutturale. Occoorre visione, coordinamento. Con una battuta: non basta mettere cinquanta musicisti in un teatro per fare un’orchestra…
E, per di più, precari…
Esatto. Proprio con il Pnrr è aumentata la domanda di ingegneri, di tecnici informatici, di esperti di fondi europei. Non capisco perché dovrebbero andare in un ente pubblico per due anni se le multinazionali li pagano meglio. Ciò conferma il tema di fondo, e cioè quello di una mancanza di approccio strategico e di non conoscenza dei limiti, soprattutto quelli degli enti locali.
Esatto. Proprio con il Pnrr è aumentata la domanda di ingegneri, di tecnici informatici, di esperti di fondi europei. Non capisco perché dovrebbero andare in un ente pubblico per due anni se le multinazionali li pagano meglio. Ciò conferma il tema di fondo, e cioè quello di una mancanza di approccio strategico e di non conoscenza dei limiti, soprattutto quelli degli enti locali.
Tutto sulle spalle dei territori?
Prendiamo l’esempio di un ministero, magari quello dell’Istruzione, che fa una gara per mettere a terra, diciamo, 200 milioni per fare scuole. È vero che il Ministero ha impegnato i soldi e magari ci saranno anche dei Comuni che hanno vinto i bandi. Ma in realtà, il problema si è solo spostato più in basso. Perché poi quei fondi si fermano ai Comuni perché non riescono a fare le gare. Il danno, potenzialmente, è molto peggio di quello che si vede oggi.
Prendiamo l’esempio di un ministero, magari quello dell’Istruzione, che fa una gara per mettere a terra, diciamo, 200 milioni per fare scuole. È vero che il Ministero ha impegnato i soldi e magari ci saranno anche dei Comuni che hanno vinto i bandi. Ma in realtà, il problema si è solo spostato più in basso. Perché poi quei fondi si fermano ai Comuni perché non riescono a fare le gare. Il danno, potenzialmente, è molto peggio di quello che si vede oggi.
In che senso?
In prima battuta, rischiano di non riuscire a spendere tutte le risorse o, addirittura, di spendere male. In secondo luogo c’è un altro problema, quello dell’aumento della spesa corrente in capo ai Comuni. Nel 2026, gli enti si ritroveranno con delle nuove opere. Che andranno manutenute, raffreddate, riscaldate, pulite. Dovranno gestirle. E rischiamo un “impoverimento” delle casse. Ma oltre al danno potrebbe esserci un’ulteriore beffa…
In prima battuta, rischiano di non riuscire a spendere tutte le risorse o, addirittura, di spendere male. In secondo luogo c’è un altro problema, quello dell’aumento della spesa corrente in capo ai Comuni. Nel 2026, gli enti si ritroveranno con delle nuove opere. Che andranno manutenute, raffreddate, riscaldate, pulite. Dovranno gestirle. E rischiamo un “impoverimento” delle casse. Ma oltre al danno potrebbe esserci un’ulteriore beffa…
Quale?
Che la stagione del Pnrr non sia servita nemmeno a creare l’ossatura di una nuova classe dirigente che avrebbe potuto aiutare il Paese a capire come cambiare la pubblica amministrazione, aiutandola a funzionare meglio.
Che la stagione del Pnrr non sia servita nemmeno a creare l’ossatura di una nuova classe dirigente che avrebbe potuto aiutare il Paese a capire come cambiare la pubblica amministrazione, aiutandola a funzionare meglio.
Non è mai troppo tardi. Cosa si può fare, ora, per provare a rimettersi in carreggiata?
Innanzitutto bisognerebbe cercare, immediatamente, di fare tutte procedure di partenariato pubblico-privato, attivando le risorse di questi accanto a quelle del Pnrr e trasferendo a loro il rischio operativo di fare le opere e poi quello di gestirle. Poi occorre immaginare dei corsi di formazione, learning by doing; occorre far entrare professionisti nella Pa e formarli mentre già lavorano. Non dovranno solo “performare” ma sarebbe utile se reinventassero i processi e i modelli operativi.
Intanto i territori chiedono aiuto.
A mio avviso bisogna far scendere in campo Anci, Regioni, province. Occorrerebbe dotare i Comuni di esperti, mandati a risolvere i problemi, direttamente sui territori. Non bisogna insegnare al Rup come fare il Rup, ma occorre farglielo fare. Mi verrebbe da dire che bisognerebbe designare dei commissari straordinari, ma poi diventeremmo il Paese dei commissari. Bisogna che ci siano delle funzioni assegnate in maniera forte a degli enti che siano in grado di andare sui territori e accompagnare gli enti locali.
A mio avviso bisogna far scendere in campo Anci, Regioni, province. Occorrerebbe dotare i Comuni di esperti, mandati a risolvere i problemi, direttamente sui territori. Non bisogna insegnare al Rup come fare il Rup, ma occorre farglielo fare. Mi verrebbe da dire che bisognerebbe designare dei commissari straordinari, ma poi diventeremmo il Paese dei commissari. Bisogna che ci siano delle funzioni assegnate in maniera forte a degli enti che siano in grado di andare sui territori e accompagnare gli enti locali.
Insomma, torniamo al public innovation manager…
Lo avevamo immaginato proprio per questo. Da un lato, per attuare il Pnrr. Dall’altro per ripensare i modelli organizzativi della Pa. Con le competenze trasversali, da quelle sui fondi, sui partneriati pubblici e privati fino alla tecnologia e alla digitalizzazione, avrebbe potuto aiutare i Comuni a mettere a terra il Pnrr e nel lungo periodo avrebbe creato l’ossatura di una nuova classe dirigente pubblica. Cosa ci vuole per farlo? Una governance chiara, unica e mirata, riconosciuta dal centro fino all’ultimo ente locale.
Lo avevamo immaginato proprio per questo. Da un lato, per attuare il Pnrr. Dall’altro per ripensare i modelli organizzativi della Pa. Con le competenze trasversali, da quelle sui fondi, sui partneriati pubblici e privati fino alla tecnologia e alla digitalizzazione, avrebbe potuto aiutare i Comuni a mettere a terra il Pnrr e nel lungo periodo avrebbe creato l’ossatura di una nuova classe dirigente pubblica. Cosa ci vuole per farlo? Una governance chiara, unica e mirata, riconosciuta dal centro fino all’ultimo ente locale.
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