di GIUSEPPE MASALA
Ormai non passa giorno senza che arrivi una brutta notizia per il Dollaro inteso come moneta standard per gli scambi internazionali e, conseguentemente, come moneta di riserva delle banche centrali. Un tema questo meritevole della massima considerazione perché la storia ci insegna essere uno dei termometri fondamentali per comprendere lo stato di salute di un Impero e quindi per riuscire a comprendere se siamo arrivati al suo epilogo come forza egemone e motrice della storia.
Nel secolo scorso questo è avvenuto con l’Impero britannico che dopo la seconda rivoluzione industriale si è visto scalzare dal punto di vista tecnologico nella produzione dei beni dalla Germania guglielmina e conseguentemente ha visto minacciare la Sterlina dal Marco tedesco come moneta standard per le transazioni internazionali. In questo fattore monetario (e commerciale) gli storici ritrovano le cause reali e materiali che hanno portato nel 1914 alla Prima Guerra Mondiale. E manco a farlo apposta, anche in questa fase storica dove si rischia un nuovo conflitto mondiale tra grandi potenze la moneta standard degli scambi internazionali – ovvero il Dollaro emesso dall’impero globale statunitense – è ormai chiaramente sotto attacco delle potenze antagoniste degli USA, a partire dalla Cina.
A dare il via ad un vero e proprio torrente di dichiarazioni contro il Dollaro e il suo dominio è stato Putin che durante la visita del leader cinese Xi Jinping ha invitato i paesi partner della Russia ad usare lo Yuan cinese per le loro transazioni internazionali. Cosa che ormai da un po’ di tempo la Russia sta facendo, al punto tale che ormai lo Yuan sta superando l’utilizzo del Dollaro nelle proprie transazioni internazionali. A tale proposito basti pensare che a Settembre la russa Gazprom e la China National Petroleum Corporation hanno annunciato l’inizio dei pagamenti relativi alle forniture di gas per un 50% in rubli e l’altro 50% in Yuan abbandonando così il Dollaro per non parlare poi del sempre più crescente utilizzo della valuta cinese da parte della Bank of Russia come moneta di riserva che alla fine del 2021 aveva già raggiunto il 17% del totale.
Ma le notizie più sconvolgenti che fanno capire meglio di qualunque altro come l’egemonia del Dollaro sia messa a rischio arrivano da Ryad.
Dopo la visita di XI Jinping in Arabia Saudita della fine dell’anno scorso, nella quale si annunciò l’utilizzo dello Yuan per la compravendita di petrolio saudita, è di qualche giorno fa la notizia che China EximBank si è accordata con la Saudi National Bank per l’emissione congiunta di bond denominati in Yuan alla quale è poi seguita l’altrettanto fondamentale notizia che la Saudi Aramco acquisisce il 10% di Rongsheng Petrochemical per 3,6 miliardi di dollari. In altri termini si chiude il cerchio che crea il Petro-Yuan: i sauditi accettano la divisa cinese come mezzo di pagamento del loro petrolio e poi la reinvestono nella stessa Cina acquistando assets per ora industriali ma probabilmente in futuro anche finanziari. Ryad ripete esattamente ciò che ha fatto con gli USA da quel fatico 1971 quando vide la luce il Petro-Dollaro: accettare i dollari per pagare il proprio petrolio e reinvestire i dollari stessi negli USA.
Ad essere precisi mancherebbe un ultimo tassello per blindare l’accordo: mi riferisco a quella garanzia di sicurezza a Ryad e ai Saud che gli americani concessero solennemente, promettendo di difendere la Corona a qualunque costo. Mi sembra di poter dire che anche sotto questo aspetto si stia muovendo qualcosa, innanzitutto con la fine della collaborazione tra le aziende del complesso militare-industriale made in USA e Scopa – la Holding saudita del settore delle armi – che sta facendo subentrare agli americani collaborazioni con aziende russe e cinesi. Ma la notizia bomba è l’annuncio dato dall’agenzia di stampa saudita di proprietà statale che ha reso noto che nella riunione di questo martedì il gabinetto saudita ha approvato un memorandum che assegna a Ryad lo status di partner di dialogo nell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai, un’alleanza politica, di sicurezza e commerciale che vede tra i suoi partner Cina, Russia, India, Pakistan e altre nazioni minori dell’Asia centrale. Un vero e proprio salto epocale nella politica estera e di sicurezza saudita che pone le premesse ad un vero e proprio cambio delle alleanze a livello strategico con l’abbandono dell’alleanza con Washington e della partnership con la Nato. Cosa questa peraltro già visibile con la ripresa delle relazioni diplomatiche con l’Iran e l’altrettanto clamoroso riavvicinamento alla Siria di Assad.
Abbandono degli interessi occidentali da parte dei sauditi platealmente evidente anche a livello OPEC+ con lo strettissimo coordinamento tra sauditi e russi per quanto riguarda la produzione di petrolio: mentre gli occidentali vorrebbero che i sauditi producessero a più non posso per abbassare le spinte inflazioniste questi si mettono d’accordo con la Russia che ha tutto l’interesse a demolire l’economia e il sistema finanziario occidentale rinfocolandole.
Insomma, se si guarda attentamente alle mosse saudite si capisce che non solo sta iniziando ad utilizzare lo Yuan – cosa che di per se non significherebbe l’abbandono del dollaro ma semmai un riequilibrio tenendo conto che stanno emergendo altre valute di livello mondiale – ma che si stanno proprio cambiando le alleanze strategiche come si capisce dall’entrata nella Organizzazione di Shangai, dalla collaborazione nell’industria delle armi con le aziende russe e cinesi e dallo stretto coordinamento con i russi per quanto riguarda le politiche dell’OPEC+. Dunque l’utilizzo dello Yuan sembra più il suggello al completo cambio di rotta saudita.
Una svolta epocale che non sarà priva di conseguenze che che potrebbe portare in futuro ad una forte reazione americana probabilmente quando saranno regolati i conti tra Washington da una parte e Pechino e Mosca dall’altra. Naturalmente questo qualora nello scontro epocale in corso tra le due potenze euroasiatiche e quelle euroatlantiche ad avere la m