Ambiente

NORD A SECCO E AL SUD SI SPRECA

di Redazione -


di GIORGIO BRESCIA

 

Se il Nord è a secco, per la carenza idrica che quest’anno ha bloccato il via dell’irrigazione in Lombardia prevista per lo scorso weekend durante il quale decine di chilometri di rogge e fossi sono rimasti in asciutta, anche il Sud lamenta una nuova stagione i cui i territori evidenzieranno ancora una volta decine di opere idriche incompiute. Un ennesimo scandalo cui non riesce a star dietro la politica che, con il Governo attuale, si trova a fronteggiare un’emergenza ultradecennale – per gli impianti – e ormai prossima al giro di boa dei due anni per la carenza idrica in fiumi e laghi a causa del climate change.
L’Anbi la definisce un’Italia idricamente rovesciata. Al centro della quale c’è per esempio la diga di Montedoglio in Toscana, che, con i suoi 140 milioni di metri cubi d’acqua, rappresenta l’invaso più importante dell’Italia centrale. Ma la sua acqua non arriva alle coltivazioni del territorio. Perché? “Le condotte primarie ci sono, i laghetti di accumulo pure, ma ormai da anni mancano le reti per consegnare la risorsa alle aziende agricole che, causa siccità, fanno fatica a continuare a produrre ed a rimanere sul mercato – spiega Serena Stefani, presidente del Consorzio di bonifica 2 Alto Valdarno – . Ogni giorno dobbiamo confrontarci con la difficoltà di portare acqua all’agricoltura della Valdichiana Senese, Aretina e della Valtiberina dove insistono imprese sì competitive ma il cui sviluppo è rallentato o minato dall’assenza di risorsa idrica. Eppure, in questo territorio l’acqua non manca, perché la diga di Montedoglio rappresenta un “polmone” importante, ma è impossibile completare i distretti irrigui per la mancanza di risorse e di un adeguato supporto normativo”.
Il bubbone più grosso – lo scandalo storico – è rappresentato dagli impianti elencati nei fogli che il presidente di Anbi Francesco Vincenzi ci mostra. Una trentina di opere incompiute, un elenco datato 2017 sul quale Anbi non ha ricevuto notizie di particolari aggiornamenti positivi. I lavori a Pettorano sul Gizio in Abruzzo per il riordino dell’irrigazione sono iniziati nel 1978, 45 anni fa. Dopo 8 anni si sono fermati per sempre, a causa del mancato completamento del finanziamento.

LO STIVALE FA ACQUA

Lavori iniziati e interrotti un po’ ovunque, lungo lo Stivale, in particolare dall’Emilia alla Sicilia. Nel Lazio, il rifacimento del canale Dragoncello del Tevere è partito nel 2009 ma poi si è fermato per i tagli dei fondi da parte della Regione Lazio. Nel Molise, una vasca di espansione vicino Venafro avviata nei primi anni 2000 attende ancora i fondi per essere conclusa. In Campania, solo da pochi giorni si è messo mano, tra Regione Campania e fondi Pnrr per 200 milioni assicurati dal Mit, alla più grande diga del Mezzogiorno che interessa 20 Comuni del Beneventano, un invaso colmo d’acqua inutilizzabile finora per mancanza delle necessarie condutture. Ma il resto del territorio non ha più voce per i suoi Sos, se la Rete irrigua dell’Alento – l’opera dal più alto costo in regione, per 30 milioni circa – ha visto la sua prima pietra nel 1999 e lo stop lavori per mancanza fondi nel 2011. In Puglia regnano la difformità di lavori, i successivi mancati collaudi anche ad opere terminate, le contestazioni sui lavori dagli anni ’90 per l’opera sul torrente Scarafone. In Calabria, la diga sul Melito per 190 milioni è partita negli anni ’90. Da allora, è stato terminato solo il 10% dei lavori. In Sicilia, la diga di Pietrarossa, iniziata nel 1989 per circa 70 milioni, è completata al 95% ma ha visto lo stop al cantiere per il ritrovamento di un sito archeologico.
Il racconto potrebbe continuare, ma Vincenzi freme a dire la sua, guardando all’intero quadro del Paese: “Non solo è necessario realizzare nuovi bacini per trattenere le acque di pioggia sul territorio, perché bisogna efficientare la rete idraulica esistente, completando gli schemi idrici e ripulendo bacini, la cui capienza è complessivamente ridotta di oltre il 10% per la presenza di sedime sul fondale.

L’ANBI HA UN PIANO

Il Piano Anbi, a disposizione del Paese, prevede 858 interventi per un investimento di quasi 4 miliardi e 340 milioni, capaci di garantire oltre 21mila posti di lavoro. Ma va accompagnato dall’efficientamento e completamento dell’esistente. La proposta si articola in 729 progetti con manutenzioni straordinarie di reti idrauliche, ma altri 90 riguardano la pulizia di invasi esistenti, 45 dei quali ubicati nel Sud Italia. Stimiamo che il 10% della capacità complessiva di questi bacini sia inutilizzata a causa del sedime depositatosi negli anni sul fondale. Da qui, la necessità di asportare oltre 72 milioni di metri cubi di materiale, per un costo di quasi 291 milioni, con 1450 posti di lavoro previsti”.

Piani, stime e previsioni con un grande nemico, la burocrazia: “Ad ostare sulla strada della modernizzazione di una rete idraulica, ormai inadeguata ai cambiamenti climatici, non sono i finanziamenti ma soprattutto le lungaggini burocratiche, per le quali chiediamo un’accelerazione degli iter autorizzativi. Attualmente, infatti, per realizzare un’opera pubblica servono almeno 11 anni. E’ evidente che un tale lasso di tempo rende un’opera già inadeguata al momento dell’inaugurazione e di fronte alla velocità assunta dalla crisi climatica non possiamo certo permettercelo. Ne va della salvaguardia del territorio e della sua economia, nonché del futuro delle sue comunità”. Un quadro desolante quello che viene proposto, di fronte al quale, forse, non basterà solo il Commissario di governo per invertire la rotta.

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