Attualità

Oltre i muri e la demagogia Pressing sul piano migranti

di Rita Cavallaro -

GIORGIA MELONI PRESIDENTE DEL CONSIGLIO ALEKSANDAR VUČIĆ PRESIDENTE DELLA SERBIA, EDI RAMA PRIMO MINISTRO DELL'ALBANIA


Superare i muri, che tanto si scavalcano, e fare muro tutti insieme, per trovare una soluzione comune all’emergenza epocale dell’immigrazione clandestina. Per il governo Meloni non servono palliativi, interventi spot utili a raggranellare voti e consensi ma poi incapaci a risolvere davvero i problemi. Per questo il Piano migranti in nove punti, elaborato con le indicazioni della premier dal ministro degli Esteri Antonio Tajani e da quello dell’Interno Matteo Piantedosi, deve essere approntato al più presto possibile e condiviso dai Paesi dell’Unione, che procedono in ordine sparso con interventi e respingimenti la cui conseguenza è semplicemente l’effetto contrario.
Perché migliaia di persone, ogni giorno, elargiscono fior di quattrini ai trafficanti di esseri umani, salgono sui barconi e sfidano la fortuna, aggirando i controlli e finendo sempre e comunque sulle stesse coste, quelle italiane. Nella maggior parte dei casi vivi, sempre più spesso salvati in mare, a volte morti. E le responsabilità dei naufragi non possono ricadere sull’Italia, che da anni chiede aiuto all’Europa ma che, in mancanza di risposte da Bruxelles, continua ad accogliere chiunque. Di fronte alle crisi sociali in Africa, con la Tunisia a un passo dal fallimento, all’emergenza umanitaria post-terremoto in Turchia e Siria e all’instabilità dei Balcani, però, i fatti non devono essere più rimandati dalle parole dei burocrati europei e dalle promesse che l’Ue qualcosa prima o poi farà. Il cosa, d’altronde, è già stato messo nero su bianco dall’esecutivo, che proprio ieri ha discusso in un vertice a Palazzo Chigi i nove punti da attuare sinergicamente per arginare il flusso migratorio e favorire i corridoi umanitari, andando oltre la legge Bossi-Fini, rivedendo il decreto sulle Ong e perfezionando le procedure per la protezione speciale. Soprattutto andando oltre la demagogia e gli interventi propagandistici. Lo ha detto a chiare lettere Tajani, prima del vertice del governo: “Non so se il muro è una soluzione, questo dipende dalla Grecia, non mi sembra che il muro sia una soluzione perché poi i muri si scavalcano, il punto è trovare una strategia europea per creare un muro di altro tipo, bisogna che l’Europa si impegni molto di più di quanto abbia fatto fino ad adesso. Non si può costringere alcuni Paesi ad agire soli”. Perfino il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, senza nominare direttamente l’’Ue, ha chiesto l’impegno di tutti per affrontare “uno scenario nuovo”, che ha origine in Africa e che, nel corso degli anni, modificherà il mondo occidentale per come lo conosciamo. Intervenendo all’inaugurazione dell’anno accademico all’Università di Ferrara, il Capo dello Stato, rimarcando il pensiero della rettrice Laura Ramaciotti sulle lotte delle donne in Iran e Afghanistan, ha precisato: “Non è un pensiero a paesi diversi e lontani, è una sottolineatura della mancanza di diritti di persone che appartengono alla nostra stessa comunità mondiale, sempre più stretta e correlata al suo interno”. Perché tra venti o trent’anni l’Africa avrà una popolazione 3-4 volte superiore a quella dell’Europa e questo, sottolinea Mattarella, “è uno scenario che va affrontato, uno scenario nuovo che richiede impegno, studio, applicazione e un’iniziativa nuova”. Che, al momento, sta affrontando soltanto l’Italia, lasciata sola dagli alleati ad affrontare l’ondata sempre maggiore di sbarchi, con quasi 30mila persone accolte in tre mesi, più del quadruplo del primo trimestre del 2022. Motivo per il quale la Lega con Piantedosi vorrebbe misure più stringenti, ma ad alleggerire il pugno duro, spingendo invece su accordi bilaterali con i paesi “caldi”, è proprio Forza Italia, la cui posizione è condivisibile dalla stessa Giorgia Meloni. Tajani, infatti, sta portando avanti un lavoro diplomatico eccellente, che punta soprattutto a trovare la quadra sulla situazione disastrosa della Tunisia, a rischio fallimento per il blocco di 1,9 miliardi di aiuti congelati dall’Fmi e dalla Banca mondiale, sui quali, tra l’altro, pende il veto degli Stati Uniti. O almeno pendeva, prima che il titolare della Farnesina convincesse il segretario di Stato americano Antony Blinken a fare fronte comune per salvare Tunisi, concedendo al paese nordafricano i fondi a tranche, a condizione che vengano rispettati gli accordi di raggiungimento degli obiettivi prefissati. In caso di default, purtroppo, le ripercussioni sarebbero globali, con l’invasione in massa dei clandestini e la destabilizzazione dell’intera Europa, Nel vertice di governo la questione è stata affrontata con molta attenzione e la strada da percorrere, parallelamente all’intervento sull’Ue per lo sblocco dei primi 300 milioni di aiuti, è quella del pressing su Tunisia e Libia, affinché vengano arginate le partenze dai porti. Tra i nove punti da mettere subito in pratica ci sono poi il rafforzamento del sistema dell’accoglienza, con nuove strutture sul territorio per allentare la tensione su Sicilia e Calabria, e la velocizzazione dei rimpatri dei clandestini già espulsi dal territorio italiano, anche accelerando le procedure per l’esame delle domande di protezione. È previsto l’ampliamento della rete dei Centri di permanenza per il rimpatrio e l’ipotesi di installarne uno in ogni regione. Una prospettiva che ha fatto sobbalzare dalla sedia i benpensanti di sinistra, come il governatore della Toscana Eugenio Giani, contrario a “nuove carceri per chi deve essere espulso” ma favorevole a “creare dei luoghi adeguati a una funzione che sia l’accoglienza e l’indirizzo sul piano professionale di queste persone”. Per l’appunto, con la demagogia e i muri non fermeremo l’Africa.

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