La vita, la musica, le donne, gli eccessi I primi dieci anni senza il Califfo
di MAURIZIO PIZZUTO
Aveva una sola parola d’ordine nella vita, ed era “rispetta i tuoi amici come te stesso”, “ama i tuoi amici come te stesso”, “servi i tuoi amici come spereresti di essere servito dai tuoi genitori”. Indimenticabile Franco Califano, io che l’ho conosciuto frequentato e ammirato posso solo aggiungere che Franco era molto meglio di quanto non desse l’impressione di essere. Un genio della musica, uno straordinario paroliere, un cantante come poche e che il mondo aveva imparato ad amare, anche per le sue mille estrosità e le sue immancabili visioni. Milioni di copie di dischi venduti, 32 album pubblicati, migliaia tra opere varie, poesie, scritture e testi musicali. Sregolato, affascinante, avvolgente, conturbante, istrione, guascone, eternamente innamorato della vita. Una vita, la sua, piena di bellissime donne e di dame di corte, le amava tutte allo stesso modo, con passione immensa e poi le lasciava al loro destino.
Poeta maledetto e sublime insieme, attratto e avvinghiato ai piaceri del lusso, alle tentazioni più sfrenate, lo ricordo eternamente melanconico e fiero della sua solitudine, e anche quando la vita lo portò in carcere per vicende giudiziarie legate alla droga, anche lì in carcere, Franco lasciò il segno della sua presenza e della sua enorme bontà d’animo. Autore e interprete superbo e insuperabile oggi Franco Califano lascia il ricordo di musiche e di canzoni che hanno segnato la vita e la storia di intere generazioni come la mia e non solo. È morto povero, Franco. Ma perché tutto quello che aveva era anche degli altri, degli amici che frequentavano la sua casa, dei conoscenti che andavano a trovarlo per chiedergli aiuto, dei poveri che bussavano alla sua porta senza mai uscirne a mani vuote.
Meraviglioso protagonista del mondo dello spettacolo e straordinario bohemienne d’altri tempi, Franco era tutto e il contrario di tutto, rosso e nero nello stesso istante della sua vita, certezza e disperazione, solare e d’improvviso drammaticamente folle, felicità e dissapore insieme, sbruffone, spavaldo, fiero della sua onnipotenza, considerava il palcoscenico l’unica certezza della sua breve esistenza, dominava la scena come nessun altro sapeva farlo, e quando incominciava a cantare veniva fuori la sua anima vera, che era anche anima eletta e maledetta insieme, il suo cuore infiammato da mille passioni, la sua voglia di starti vicino come nessun altro avrebbe saputo fare. Mai un lamento, mai una protesta, mai un segno di rancore, mai un dubbio, mai una incertezza, mai una paura, mai un sospiro di noia, eppure passerà alla storia per essere stato il cantore della noia, “tutto il resto è noia…”. Franco era davvero padrone del mondo, padrone della sua intelligenza, bizzarra volitiva a volte schizofrenica, spesso maniacale ma eternamente brillante e sprizzante.
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