INGIUSTIZIA – Uguali ma non identici
di ELISABETTA ALDROVANDI
Eterosessuale, cisessuale, grassofobica, aporofobica, non amante della disabilità. Così viene definita la società odierna, dalla parte del mondo “intellettuale”, quello che vede più avanti. Quello che ama tanto dare etichette agli altri ma le repelle per se stesso.
In pratica, si associa una condizione che non dipende dalla propria volontà, come l’eterosessualità e la cisessualità (ossia l’identificarsi col sesso biologico della nascita), con una serie di comportamenti sbagliati che si possono correggere. Per quanto, credo che alimentarsi in modo sano mantenendo il proprio peso nella norma perché il grasso fa male, o cercare di evitare la povertà essendo una condizione non piacevole in cui vivere, siano obiettivi cui tutti mirano in modo naturale e spontaneo. Così come naturale e spontaneo è preferire una condizione di sanità fisica e mentale. Chi desidererebbe avere un figlio con gravi problemi di salute invece di uno sano?
Sgomberato il campo dall’ipocrisia pelosa che accolla colpe a casaccio, mischiando l’essere con l’agire, altro discorso è l’atteggiamento di volontaria discriminazione nei confronti degli obesi, dei poveri, dei disabili, che nulla hanno a che fare con un modo di essere indipendente dalla nostra volontà, come le preferenze sessuali, ma che costituiscono chiara e inconfutabile manifestazione di condotte da stigmatizzare e correggere. Si tratta di modi di pensare e di agire sbagliati, che possono sfociare in condotte penalmente rilevanti, identificabili, in particolare, nell’aggravante della discriminazione o dell’odio etnico o razziale previsto dall’art. 604 ter del Codice Penale. Tuttavia, la sanzione della legge arriva sempre a posteriori, quando il fatto è commesso e il danno è fatto: per questo, giocano un ruolo fondamentale la capacità di includere e l’insegnamento al rispetto, la demolizione delle barriere mentali e architettoniche, e l’impegno da parte di tutti di coinvolgere ed essere coinvolti nelle dinamiche di ogni convivenza sociale. Ciascuno di noi ha il dovere di anelare al miglioramento e di avere opportunità di mettersi in gioco e dimostrare le proprie capacità, indipendentemente dalle condizioni di partenza. E se è vero che chi ha una situazione iniziale agevolata gode di corsie preferenziali, è altrettanto vero che vivere in una società che include invece di escludere, che coinvolge invece di etichettare, aiuta a rimuovere quei maledetti ostacoli citati anche nella nostra Costituzione, che, a oltre settant’anni dalla sua introduzione, ancora impediscono la piena realizzazione del principio di uguaglianza, che ci vuole tutti uguali, ma non tutti identici.
Non esiste la “normalità”, ma esiste ciò che è statisticamente più frequente. E se in base alle statistiche la maggior parte delle persone sono eterosessuali, normopeso, in condizioni economiche accettabili e sane, è “naturale” ma non giusto che chi non ha quelle caratteristiche possa trovare qualche difficoltà in più. Su questo bisogna lavorare, smettendola di accusare chi, per destino o scelta, vive in una situazione che può sembrare, e a volte è, di privilegio. In questo modo, si rischia di acuire le differenze e di mettere gli uni contro gli altri, alzando muri ideali (o reali) difficili da demolire. Non è sobbarcando di colpe chi ha una condizione fortunata o migliore che si colmeranno queste differenze, ma facendogli capire che, proprio perché è più “fortunato”, può fare qualcosa per chi lo è di meno. Come insegnando a chi mangia cibo spazzatura che così si rovina la salute, o un lavoro più qualificato a chi vive in condizioni di disagio. E sostenendo chi ha tante difficoltà perché il destino questo ha deciso, facendogli capire che non è solo. E che se è tra noi, è perché può dare il suo contributo. Ricordando, ognuno, che prima di essere eterosessuali, omosessuali, bianchi, neri, normopeso o sovrappeso, sani o diversamente abili, siamo tutti, indistintamente, esseri umani.
In pratica, si associa una condizione che non dipende dalla propria volontà, come l’eterosessualità e la cisessualità (ossia l’identificarsi col sesso biologico della nascita), con una serie di comportamenti sbagliati che si possono correggere. Per quanto, credo che alimentarsi in modo sano mantenendo il proprio peso nella norma perché il grasso fa male, o cercare di evitare la povertà essendo una condizione non piacevole in cui vivere, siano obiettivi cui tutti mirano in modo naturale e spontaneo. Così come naturale e spontaneo è preferire una condizione di sanità fisica e mentale. Chi desidererebbe avere un figlio con gravi problemi di salute invece di uno sano?
Sgomberato il campo dall’ipocrisia pelosa che accolla colpe a casaccio, mischiando l’essere con l’agire, altro discorso è l’atteggiamento di volontaria discriminazione nei confronti degli obesi, dei poveri, dei disabili, che nulla hanno a che fare con un modo di essere indipendente dalla nostra volontà, come le preferenze sessuali, ma che costituiscono chiara e inconfutabile manifestazione di condotte da stigmatizzare e correggere. Si tratta di modi di pensare e di agire sbagliati, che possono sfociare in condotte penalmente rilevanti, identificabili, in particolare, nell’aggravante della discriminazione o dell’odio etnico o razziale previsto dall’art. 604 ter del Codice Penale. Tuttavia, la sanzione della legge arriva sempre a posteriori, quando il fatto è commesso e il danno è fatto: per questo, giocano un ruolo fondamentale la capacità di includere e l’insegnamento al rispetto, la demolizione delle barriere mentali e architettoniche, e l’impegno da parte di tutti di coinvolgere ed essere coinvolti nelle dinamiche di ogni convivenza sociale. Ciascuno di noi ha il dovere di anelare al miglioramento e di avere opportunità di mettersi in gioco e dimostrare le proprie capacità, indipendentemente dalle condizioni di partenza. E se è vero che chi ha una situazione iniziale agevolata gode di corsie preferenziali, è altrettanto vero che vivere in una società che include invece di escludere, che coinvolge invece di etichettare, aiuta a rimuovere quei maledetti ostacoli citati anche nella nostra Costituzione, che, a oltre settant’anni dalla sua introduzione, ancora impediscono la piena realizzazione del principio di uguaglianza, che ci vuole tutti uguali, ma non tutti identici.
Non esiste la “normalità”, ma esiste ciò che è statisticamente più frequente. E se in base alle statistiche la maggior parte delle persone sono eterosessuali, normopeso, in condizioni economiche accettabili e sane, è “naturale” ma non giusto che chi non ha quelle caratteristiche possa trovare qualche difficoltà in più. Su questo bisogna lavorare, smettendola di accusare chi, per destino o scelta, vive in una situazione che può sembrare, e a volte è, di privilegio. In questo modo, si rischia di acuire le differenze e di mettere gli uni contro gli altri, alzando muri ideali (o reali) difficili da demolire. Non è sobbarcando di colpe chi ha una condizione fortunata o migliore che si colmeranno queste differenze, ma facendogli capire che, proprio perché è più “fortunato”, può fare qualcosa per chi lo è di meno. Come insegnando a chi mangia cibo spazzatura che così si rovina la salute, o un lavoro più qualificato a chi vive in condizioni di disagio. E sostenendo chi ha tante difficoltà perché il destino questo ha deciso, facendogli capire che non è solo. E che se è tra noi, è perché può dare il suo contributo. Ricordando, ognuno, che prima di essere eterosessuali, omosessuali, bianchi, neri, normopeso o sovrappeso, sani o diversamente abili, siamo tutti, indistintamente, esseri umani.
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