“Una protesta dal cuore del popolo. Politica e sindacati troppo lontani”
FAUSTO BERTINOTTI PRESIDENTE FONDAZIONE CERCARE ANCORA
“La protesta non è prevedibile. Non c’è maggioranza che tenga. Dal cuore dell’Europa, c’è un urlo di rabbia verso un sistema. Altro che partiti e sindacati”. A dirlo Fausto Bertinotti, ex presidente della Camera dei Deputati e storico segretario di Rifondazione Comunista.
Quali le ragioni della protesta transalpina?
Come in ogni incendio, c’è una scintilla. In questo caso è l’odioso provvedimento di Macron, che nel suo secondo mandato ha voluto portare a termine l’impresa di colpire le pensioni, affermando il dominio delle compatibilità sui bisogni della popolazione. Stiamo parlando di una misura odiosa perché colpisce le persone che hanno dato di più nella vita, ovvero chi non potendo accedere agli studi, è entrato anticipatamente nel tunnel del lavoro. Tutto ciò, ha avuto una reazione che il governo non si aspettava, certamente non in questa forma, intensità e lunghezza.
Perché l’incendio è divampato così velocemente?
Le fiamme sono divampate attraverso la progressione del conflitto. Siamo al nono sciopero nazionale in pochi mesi. Tre milioni e mezzo di persone sono scese in piazza. Quest’incendio non mette in discussione solo l’aggressione alle pensioni, ma apre una riflessione di fondo sulla società, l’economia e la stessa democrazia. Sono molti gli osservatori che dicono che la rappresentatività vive una crisi profonda. Il governo Macron, nei fatti, decide che può fare a meno del parlamento.
In Italia può accadere qualcosa di simile?
Certamente! Nessuno sei mesi fa aveva previsto gli scontri di Parigi. Siamo di fronte a un ciclo nuovo del conflitto sociale. A differenza di quanto pensiamo in Italia dal dopoguerra in poi, le lotte non si programmano. Il movimento va oltre la stessa organizzazione.
Perché?
Stiamo parlando di una rivolta, di una ribellione. L’unica fortuna, in questo caso, è il ponte stabilito col conflitto tradizionale.
Senza il sindacato, la mobilitazione, però, non sarebbe stata così partecipata…
È diventato protagonista dentro il movimento, non sopra. All’inizio lo stesso sindacato francese era incerto. È stata, poi, una forza dal basso a travolgere tutto. Stiamo parlando di una sfida del popolo a tutte le élites, compreso il sindacato. Sta emergendo un’opposizione forte nel cuore dell’Europa, che nessuno fino a qualche mese fa neanche pensava.
La sorprende che la goccia che ha fatto traboccare il vaso arrivi proprio dalla culla delle rivoluzioni?
Semmai possiamo parlare del maggio francese, ma non certamente del 1789. Basta con la retorica che i cugini hanno nella loro memoria la ghigliottina sulla piazza. Anche l’Italia ha Piazzale Loreto. Il ciclo di lotte sociali e sindacali degli anni 70 nel nostro Paese, poi, almeno per quanto riguarda il Novecento, non può essere confrontato a nulla in Europa. Detto ciò, lo stivale, allo stato, è l’unico posto dove non esiste nei fatti un antisistema organizzato, un’alternativa nella società.
A pesare forse la spinta di Mélenchon e di un certo socialismo. Tale impresa potrebbe riuscire alla Schlein?
Quella francese è una forza antagonista e non riformista o moderata. I socialisti hanno un ruolo insignificante all’interno di questa unione di piazza. Questa forza di rottura si oppone al sistema e al potere. I partiti o i sindacati entrano come pesci nell’acqua.
In Italia, però, non esiste un’opposizione forte, ma una maggioranza che ha stravinto le elezioni…
Non c’entra nulla. Basta pensare che è sufficiente vincere le elezioni per dormire sogni tranquilli! Il giorno dopo il voto inizia il vero gioco democratico, fatto di conflitto e scontri. Questa è la verità. Qui non c’è maggioranza che tenga.
In questo periodo c’è un fattore che potrebbe accelerare il processo: gli italiani sono stanchi di pagare a proprie spese le armi a Zelensky…
Sulla guerra è auspicabile e possibile che nasca finalmente un movimento pacifista, che non c’entra nulla con la rivolta. Nel primo caso, si parte dal cattolicesimo, dagli uomini della Perugia-Assisi, dalle articolazioni della società civile, dalle organizzazioni della solidarietà. Quanto accaduto in Francia, invece, prende spunto esclusivamente dalla rabbia popolare. Stiamo parlando di un urlo contro il sistema, che solo dopo si trasforma in movimento. Per capire meglio tutto ciò, basta pensare a come si è generata la primavera araba o al famoso Natale di Londra, messo a soqquadro dalle lotte. A confermare tali tesi è finanche il compostissimo “Le Monde”.
La rabbia, intanto, finisce con l’essere ingigantita dalla crisi economica. Le persone, vedendo i principali istituti di credito del continente tirare i remi in barca dalla sera alla mattina, probabilmente vivono un clima di maggiore incertezza…
Stiamo parlando di una crisi permanente. I primi problemi sono iniziati nel 2008. È semplicemente il prodotto sistemico del capitalismo attuale, che può assumere forme diverse. Una volta sono le banche, un’altra il bilancio o il deficit.
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