I CONSIGLI DEL LIBRAIO
“È dell’inferno dei poveri che è fatto il paradiso dei ricchi”
DI GABRIELE GRAZI
Victor Hugo fa parte della storia della letteratura a ragion veduta: dalla sua penna sono uscite opere titaniche come I Miserabili o Notre-Dame de Paris. Questo libro, L’uomo che ride, probabilmente è tra i meno conosciuti ma non per questo tra i meno belli. La poetica è in pieno stile del suo autore: atmosfere gotiche, grottesche ed oniriche, agnizione del personaggio principale, accento posto sulle tematiche sociali e attenzione agli ultimi, ai diseredati. Il protagonista del libro è Gwynplaine, un bambino che viene abbandonato all’età di dieci anni in mezzo a una tempesta nella quale trova e salva anche una bambina (poi chiamata Dea) conducendola verso la luce della speranza in mezzo al turbinio degli elementi: la roulotte di Ursus, un teatrante ambulante, artista di strada e filosofo, e Homo (il suo lupo addomesticato). Entrambi i ragazzi hanno un problema fisico: Gwynplaine è stato sfregiato per cui ha la bocca deformata in un perenne, lugubre, riso, mentre Dea è cieca. Ursus crescerà i due ragazzi girovagando per l’Inghilterra e le sue contraddizioni universali, quelle tra il popolo schiavo e i lord sovrani, fino al colpo di scena finale. Certo il libro non è facile soprattutto in diversi suoi passaggi quando Hugo descrive come un fiume in piena il funzionamento dello Stato inglese con i suoi innumerevoli lord e le loro proprietà. Ma sopportando queste pagine che fanno parte della concezione del romanzo ottocentesco, arriveremo al cuore del libro che è animato dal soffio della poesia, dal tocco lieve ed elegante di un grande maestro, dalla sublime capacità di portarci dentro la storia con tutto il nostro essere, contagiati da personaggi mostruosamente profondi come mostruose sono le loro sembianze specchio del contrasto insanabile che abita ogni animo umano. Ecco un passaggio dal libro: “Al fondo del loro amore c’era un prodigioso bisogno reciproco: Gwynplaine salvava Dea, Dea salvava Gwynplaine. Incontro di sventure che produce adesione. Abbraccio di due creature inghiottite dal gorgo. Niente di più stretto, niente di più disperato, niente di più sublime”. Una curiosità: il protagonista ha dato spunto, soprattutto con la sua fisiognomica, al personaggio del Joker. Un imprerituro riso intagliato nel suo volto che conduce fino alla disperazione, ironico destino. Sentite questo monologo scagliato contro la nobiltà, che potrebbe facilmente essere utilizzato per il prossimo Batman: “Sono lo spaventoso uomo che ride. Ride di cosa? Di voi. Di se stesso. Di tutto. Cos’è il suo riso? Il vostro delitto e il suo supplizio. Questo delitto ve lo getta in faccia, questo supplizio ve lo sputa in viso. Io rido, che vuol dire: io piango”. La letteratura qui è opera d’arte, è consumata sapienza che si plasma al volere dell’autore… tornare a leggere un romanzo contemporaneo dopo aver letto un classico come questo non sarà facile, l’asticella si fa molto alta. Un consiglio su come leggere questo libro: sfidate un simbolo autoritario, mettete sottosopra i quadri di casa, raccogliete un rifiuto e cercate nel suo caos una nuova bellissima forma.
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