Cronaca

Ergastoli senza corpi. I gialli Benetti e Bozzoli

di Ivano Tolettini -


Condannati all’ergastolo, il fine pena mai, senza che i corpi delle loro vittime sacrificali siano stati ritrovati. La cronaca consegna periodicamente agghiaccianti storie di nera come quelle sceneggiate da Giacomo Bozzoli e Antonino Bilella. Entrambi si trincerano dietro l’apodittico “sono innocente”. Invece, sono ritenuti responsabili di avere fatto sparire rispettivamente lo zio Mario Bozzoli, nella fonderia bresciana di Marcheno, e la possidente Francesca Benetti, nella tenuta situata a Potassa di Gavorrano, a Grosseto. Entrambi non hanno mai voluto fornire agli inquirenti indicazioni sui poveri resti degli assassinati.

 

GIALLO IN FONDERIA

 

Nel caso dell’imprenditore Bozzoli, misteriosamente sparito la sera dell’8 ottobre 2015 dalla fonderia di famiglia, tutti gli indizi per ora fanno convergere sulla responsabilità del nipote che avrebbe bruciato lo zio. In questo caso, se davvero il povero Mario è finito nel forno, mentre inizialmente gli investigatori ritenevano che il nipote avesse caricato la salma sulla Porsche Cayenne, non c’è alcuna possibilità di restituire il corpo alla vedova Irene Zubani. Il condizionale sulla responsabilità di Giacomo Bozzoli è d’obbligo perché siamo al primo grado. La Corte d’Assise di Brescia nei giorni scorsi ha depositato i motivi che saranno appellati dagli avvocati Luigi, Giovanni e Giordana Frattini. “Per distruggere il cadavere nel forno ci sono volute poche ore”, ha affermato in aula il pm Silvio Bonfigli, ricostruendo le fasi dell’omicidio ascrivibile per la Corte d’Assise a Giacomo.

 

MISTERO IN MAREMMA

 

Il verdetto per Antonino Bilella è passato in giudicato ancora nel 2020, senza che il corpo della affascinante insegnante in pensione Francesca Benetti, originaria di Valdagno (Vicenza), ma da anni trapiantata a Cologno Monzese e proprietaria della tenuta Villa Adua nel Grossetano, sia stato rinvenuto. Il compagno della 55enne Francesca la sente per l’ultima volta nel tardo pomeriggio del 4 novembre 2013. La donna aveva raggiunto il podere di 40 ettari per troncare il rapporto di lavoro con Bilella. Non tollerava più le sue volgari avance. L’uomo aveva perso la testa per lei e la molestava continuamente. Per i carabinieri l’uccise a coltellate. Tanto che è stato ritenuto colpevole di omicidio premeditato, soppressione di cadavere, stalking e violenza sessuale. Secondo i giudici le prove contro il 78enne sono schiaccianti: a cominciare dalle tracce del Dna di Francesca trovato nella macchina presa a noleggio dal killer. L’avvocato della famiglia di lei, Agron Xhanay di Vicenza, a quasi dieci anni dall’assassinio si fa portavoce del dolore mai rimarginato del fratello e dei figli: “Poiché Bilella trascorrerà il resto dei suoi giorni in carcere, potrebbe venire incontro al desiderio pietoso dei congiunti di potere piangere la loro cara sulla tomba, indicando dove si è disfatto della salma”.


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