Primo Piano

C’ERA UNA VOLTA L’UE

di Alessio Gallicola -

GIORGIA MELONI VOLODYMYR ZELENSKY ©imagoeconomica


La stretta di mano più o meno forzata. Gli sguardi più o meno in cagnesco. Le mezze frasi e le battute sibilline. E’ trascorsa così, tra una sbirciata e l’altra, buona parte del primo giorno del Consiglio Europeo, uno dei momenti chiave dell’intera stagione istituzionale della povera Europa, sballottata tra l’IRA di Biden e le sempre più pressanti richieste di armi di Zelensky. Lo zoom del voyeurismo italico è stato ovviamente puntato su Giorgia Meloni e Emmanuel Macron, ancora una volta protagonisti di un vertice al quale giungono non proprio da amiconi. L’ultima volta era stato il caso migranti, Ong e affini. Stavolta è toccato all’affaire Zelensky, con la premier italiana esclusa dalla cena parigina con i leader di Francia e Germania.
Le cronache parlano di saluto con sorriso stiracchiato di Meloni a Macron quando il leader francese ha preso posto accanto a lei per la foto opportunity, stretta di mano poco convinta e nessun accenno di dialogo, con l’inquilino dell’Eliseo che si è soffermato a dialogare con la presidente del Parlamento Ue Metsola evitando un seppur minimo scambio di battute con la collega italiana. Che dal canto suo non gliel’aveva certo mandate a dire, com’è suo costume: “Francamente mi è sembrato inopportuno l’invito a Volodymyr Zelensky di ieri – aveva dettato ai media in mattinata – perché credo che la nostra forza in questa vicenda sia l’unità e la compattezza. Io capisco il fatto di privilegiare le proprie opinioni pubbliche interne, ma ci sono momenti nei quali privilegiare la propria opinione pubblica interna rischia di andare a discapito della causa. E questo mi pare che fosse uno di quei casi”.
In realtà il nervo scoperto di Giorgia non è tanto la soirée parigina saltata quanto la missione a Washington dei ministri francese e tedesco, Bruno Le Maire e Robert Habeck, negli Usa per parlare delle conseguenze dell’Inflation Reduction. Il rinnovato asse Francia-Germania, costruito sui solidi interessi economici dei due Paesi, non è andato giù al governo di Roma, che negli ultimi giorni ha mostrato irritazione per l’iniziativa, in grado di spaccare ulteriormente un fronte già reso friabile dalla mossa di Biden, che con un super investimento di risorse sta corteggiando le migliori imprese energetiche e tecnologiche europee, che non a caso stanno seriamente pensando di sviluppare negli Stati Uniti il loro business, ingolosite dagli aiuti che Sleepy Joe ha organizzato per chi decide di investire in energie rinnovabili sul suolo americano.
E lo schiaffo a Roma è stato avvertito più forte quando si sono ascoltate le risposte del duo Le Maire-Habeck al termine del summit di Washington: “L’Italia? Informeremo Giorgtti”, si sono limitati a dire, facendo chiaramente intendere che in questa partita il nostro Paese non potrà giocare un ruolo da protagonista, specie se continua a chiedere che non vengano allentati i vincoli degli aiuti di Stato, come invece vogliono Germania e Francia, che già con questo regime si dividono l’80% della torta europea, contro il 4,75% dell’Italia. Anche ieri Meloni ha provato a tenere il punto: “Mi attendo che le legittime aspirazioni delle singole nazioni non vadano a scapito delle altre. E che quindi si possa trovare un equilibrio”, lasciando trapelare tutta la contrarietà dell’esecutivo italiano rispetto alle mosse del duo franco-tedesco. “Abbiamo un problema di competitività – ha spiegato – bisogna aiutare il nostro sistema produttivo in maniera tale da non creare disparità all’interno del mercato unico, dal momento che quelli che hanno spazio di bilancio superiore ad altri chiedono un allentamento delle norme sugli aiuti di Stato”.
Il problema è tutto qui: l’Italia dal debito record ha un bilancio a maglie strettissime e non può permettersi di aiutare le proprie aziende, come invece possono fare i due colossi europei. Che sanno di avere un vantaggio competitivo e lo stanno giocando al tavolo delle trattative in seno all’Unione. Dal canto suo, dopo aver provato a convincere – senza grossi esiti – il premier svedese sugli sforzi italiani a proposito di accoglienza dei migranti e lo stesso Scholz sull’opportunità di non modificare le regole degli aiuti, Meloni sembra aver ripiegato su un’onorevole exit strategy: portare a casa il Pnrr rimodulato, che nei disegni della premier dovrebbe consentirle di realizzare l’ambizioso “Piano Mattei” e nello stesso tempo di placare la voglia di America delle grandi aziende di Stato, Enel in primis. E’ questa la vera sfida, altro che le strette di mano con Macron.

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