Quando la scacchiera regola pure la scrittura (perfetta)
DI GABRIELE GRAZI
Come scriveva Bataille, “non smetterò di giocare: è la condizione dell’ebbrezza del cuore. Ma vuol dire anche misurare il fondo ripugnante delle cose. Giocare è sfiorare il limite, andare il più lontano possibile, e vivere sull’orlo dell’abisso”. Può la dimensione ludica, che qui si fa estatica, avere un peso così importante nella nostra vita? In fondo in un certo senso è quanto diceva anche Picasso, il quale sosteneva che a quattro anni sapeva disegnare come un adulto, poi ci mise tutta la vita per tornare a dipingere come un bambino. Che cos’è il gioco? Questo libro ci insegna che è rapimento, concentrazione, sfida in primis con se stessi, andando a scoprire non solo le proprie abilità ma anche il proprio animo, la passione che ti anima e ti permette di immergerti in quello che stai facendo, nello stato della presenza totale in quel singolo istante. Certo si deve trattare di un vero gioco, che richieda abilità, maestria, consapevolezza, disciplina, regole e al contempo romantico gesto anarchico che le infrange, e gli scacchi lo rappresentano perfettamente. Il libro ci porta nella vita di Michail “Misa” Tal’, campione di scacchi conosciuto come il Mago di Riga. Iniziamo dalla struttura del libro che rasenta la perfezione. Si narra una delle ultime partite del maestro, e mentre la osserviamo il protagonista studiando le mosse sulla scacchiera fa riaffiorare i ricordi e le mosse che ha compiuto nella sua vita, portandoci in una serie di flashback che ci permettono un viaggio nell’Urss fino alla fine degli anni ’80, l’epoca delle grandi passioni e delle rovinose sconfitte, così come gli scacchi per l’appunto. Muovendosi nei tornei di tutto il mondo incontriamo in ogni sfaccettatura la guerra fredda e il suo insondabile cuore: quale mondo è possibile? Sentite che stile nella penna di questo scrittore: “Loro cercavano più che altro di non commettere errori, come consigliava il Patriarca, e certo producevano partite simili a pietre dure dalla trasparenza luminosa, senza fessure né imperfezioni, strategicamente irreprensibili: anche Misa le apprezzava, ma preferiva di gran lunga evocare tutte le forze oscure che ogni posizione celava dentro di sé, come un brulicante mondo sottomarino, o accumulare nubi e nubi di complessità sulla scacchiera in modo che all’improvviso la folgore si abbattesse”. E ancora: “… occorre agguantare l’avversario e trascinarlo nel fitto di una foresta dove le regole saltano (…) Misa aggiungeva una nuova sfumatura: il puro rapimento del paradosso, e la scelta deliberata della continuazione più interessante, in luogo della più efficace. Perché l’efficacia era banale, un ideale di poco conto”. Questo libro vi scandisce una richiesta semplice, una supplica: non sempre per carità, ma nella vostra vita sfidate la banalità, rigettate i momenti superflui in cui la stanchezza mentale vi cattura e vi porta ad occupazioni soporifere per lo spirito dove non impiegate il tempo ma lo perdete. Cercate talvolta il complesso, la strada più ardua, e potrebbe essere che nella tempesta della vita troviate il vostro cuore pulsante. Ritorniamo all’inizio: l’abisso sarà sotto i vostri piedi, ma l’orizzonte dell’arcobaleno davanti ai vostri occhi, e la noia, questa malattia insignificante dell’occidente, dietro le vostre spalle.
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