Cronaca

I parenti, la nuova identità, il tumore così i Ros hanno trovato Messina Denaro

di Redazione -


Alla fine, dopo trent’anni di latitanza, lo hanno arrestato, proprio a casa sua. Nella sua Isola. Esattamente a Palermo. Matteo Messina Denaro, forse l’ultimo “padrino” della mafia siciliana, è stato uno dei criminali più ricercati al mondo. Denaro, 60 anni, latitante dal 1993, è stato messo in manette all’interno della clinica privata “La Maddalena”, dove, secondo le fonti, era periodicamente in cura da circa un anno sotto il falso nome di “Andrea Bonafede”. Il boss oramai moribondo, soffrirebbe del morbo di Chron, oltre ad una patologia tumorale al colon e varie metastasi. E proprio dalla sua malattia, che parte l’indagine investigativa: “Senza pentiti o soffiate anonime” precisa il procuratore capo di Palermo, Maurizio de Lucia, conversando con i cronisti al palazzo di giustizia. Le informazioni vengono captate monitorando i parenti del boss latitante. I pm a quel punto incrociano i dati: cercano un uomo di 60 anni, siciliano, malato oncologico. Si scopre che esiste un soggetto corrispondente, sottoposto a due interventi chirurgici: uno in piena emergenza Covid in Sicilia e l’ultimo a maggio scorso, proprio alla clinica “La Maddalena”. Il punto di svolta arriva incrociando i dati: nel giorno dell’intervento avvenuto, il vero Andrea Bonafede era a Campobello di Mazara, un piccolo paese in provincia di Trapani. In clinica, sotto i ferri c’era qualcun altro. A questo punto – nel prosieguo delle indagini del Ros – viene fuori l’appuntamento fissato per ieri, dove erano in programma prelievi e seduta di chemioterapia. “Abbiamo avuto solo il tempo di allertare il Gis – ha detto De Lucia – e non appena si è avuta conferma dell’accettazione, è partito il blitz”.
“Al momento le condizioni sono compatibili con la detenzione in carcere. Ancora, in questo momento, non possiamo rispondere su quale sarà la struttura penitenziaria a cui sarà destinato Matteo Messina Denaro”. Ha affermato il procuratore aggiunto di Palermo, Paolo Guido, rispondendo alle domande dei cronisti. “E’ stato già proposto il 41 bis per il detenuto”, ha aggiunto.
Quello trovato in possesso di Matteo Messina Denaro “sembra un documento autentico” ma su questo “aspettiamo i primi accertamenti per dare risposte”. Ha spiegato ai giornalisti il comandante del Ros dei Carabinieri, Pasquale Angelosanto, per illustrare i dettagli della cattura del “padrino” di Castelvetrano. La sua rete di protezione “non è venuta meno, ma è stata indebolita per aver subito “colpi nel tempo, da parte delle forze di polizia. Colpi che hanno destrutturato quell’organizzazione che 15 anni fa aveva una forza maggiore”. Ha continuato il comandante dei Ros.
Il pm De Lucia nel corso della conferenza stampa ha tenuto a precisare che “Matteo Messina Denaro era un capo operativo ma la leadership di cosa nostra non era esclusiva di Messina Denaro”.
Il mafioso, che una volta affermava infamemente: “Ho riempito un cimitero, tutto da solo”, a quanto pare ha mantenuto il suo stile di vita lussuoso, come dimostrato dal suo Rolex dal valore di 35mila euro al momento dell’arresto.
“C’è stata certamente una fetta di borghesia che negli anni ha aiutato Messina Denaro e le nostre indagini ora stanno puntando su questo”, ha affermato il procuratore De Lucia. Nel frattempo, “sono in corso e continueranno attività di approfondimento, perquisizioni a locali e abitazioni a soggetti indagati ed emersi in questo contesto che ha portato alla cattura del latitante. Io non posso assicurare la certezza della verità, ma nessuna delle vittime di mafia dovrà non avere una risposta. Tutto lo sforzo della procura che dirigo, dei magistrati e delle forze dell’ordine è volto a questo per rispetto di tutte le vittime di mafia, dei familiari, dei sopravvissuti. Faremo di tutto, non ci fermeremo”.

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