Tutti presunti colpevoli
In dubio pro reo è un principio sancito nel Digesto giustinianeo nel 529 D.C., e da millecinquecento anni sopravvive trovando nuova linfa e significato nel beyond any reasonable doubt (oltre ogni ragionevole dubbio), la regola probatoria fondante i sistemi penali nelle più evolute democrazie contemporanee. Il pensiero umano, infatti, nella sua più civile evoluzione, considera la condanna dell’innocente una prospettiva talmente estranea alla sua stessa natura, da meritare senza esitazioni il prezzo dell’eventuale colpevole mandato assolto. Concetto, questo, che spesso è oggetto di critica, in una società a tratti forcaiola e colpevolista, che confonde l’essere indagati con l’essere condannati. Eppure, la nostra Costituzione riconosce il basilare principio della “presunzione di innocenza”: l’articolo 27 sancisce che “l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”. Un principio, questo, teorizzato nel 1700 da Pietro Verri e Cesare Beccaria, che approfondì questo concetto nella sua celeberrima opera “Dei delitti e delle pene”, pubblicata in forma anonima nel 1764. In essa, Beccaria affronta questo tema allorquando tratta della certezza della pena, precisando che la tortura è inutile perché induce un innocente debole a confessare, e un colpevole ostinato a negare. L’innocente deve essere considerato tale fino alla prova definitiva e inoppugnabile della sua colpevolezza. Un passo rivoluzionario verso la civiltà, viene da pensare leggendo quest’opera con gli occhi del ventunesimo secolo, per quanto tale principio ancora non sia ben radicato, soprattutto a livello culturale. Quando può dirsi, infatti, che un innocente diventa colpevole? Quando la sentenza è definitiva. E quando ciò accade? Una sentenza penale di condanna può considerarsi definitiva quando siano terminati tutti i gradi di giudizio e non c’è più possibilità che venga impugnata, oppure quando sono trascorsi i termini per poterlo fare.
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