UN ANNO IN CHIAROSCURO
di EDOARDO GREBLO e LUCA TADDIO
Il 2022 non sarà un anno da ricordare con nostalgia. Si è aperto, anche se non in senso strettamente cronologico, con la guerra scatenata in Ucraina e si è chiuso con la minaccia di un ritorno alla pandemia da Covid-19. In mezzo altri eventi drammatici, talvolta catastrofici: alluvioni, ondate di caldo anomalo, di gelo intenso e frane, che non hanno risparmiato né l’Italia né il resto del mondo. Per non farci mancare niente, l’impennata dell’inflazione, che sta mettendo a rischio la vita quotidiana di milioni di cittadini. Problemi che si intrecciano e si potenziano a vicenda: la crisi sanitaria e la guerra hanno provocato una crisi economica con conseguenze ancora da valutare per la stabilità del nostro Paese, e tutto questo nel contesto di una crisi climatica che, affrontata finora con strumenti convenzionali, sta presentando il conto, decisamente salato.
Questo intreccio di problemi mette in luce la fragilità di un’economia sempre più globalizzata e interconnessa e di un assetto geopolitico che ha sostituito l’ordine liberale che ha governato il sistema internazionale a partire dal dopoguerra. Soprattutto, contribuisce a rendere sempre più urgente la necessità di trovare soluzioni politiche, economiche, ambientali a situazioni che, se non affrontate con realismo e lungimiranza, rischiano di avvitarsi su sé stesse. Si pensi all’evento emblematico del 2022, cioè la ricomparsa, dopo quasi ottant’anni, della guerra in Europa. L’aggressione all’Ucraina voluta da Putin ha interrotto decenni di pace e ha destabilizzato i meccanismi messi in atto per impedire la modifica violenta dello status quo internazionale. Oppure ai fattori di scala che stanno determinando un cambio di regime antropogenico nel funzionamento del sistema Terra, ben al di là del range storico di variabilità dei parametri ecologici e che stanno provocando danni ambientali tali da mettere a rischio i modelli consolidati della vita umana sul pianeta. Oppure che la pandemia ha evidenziato come la cronica mancanza di investimenti pubblici in un settore chiave dell’assistenza sanitaria, abbia rivelato quanto possa essere dannosa la persistente sottovalutazione delle potenzialità del settore pubblico nel migliorare la qualità della vita. Oppure ancora – l’elenco potrebbe continuare – allo scarso peso attribuito dai poteri pubblici alle questioni sull’economia digitale, come il potere monopolistico delle grandi aziende tecnologiche, la mancanza di privacy, le scarse capacità del governo e il divario digitale.
Però il 2022 verrà ricordato anche per altre ragioni, non tutte negative. L’esempio più eclatante è rappresentato dalle proteste che in Iran stanno prendendo di mira un regime teocratico violento e oscurantista. Una rivolta che non è azzardato definire femminista, perché mette in discussione un sistema di valori improntato in senso patriarcale e che mira a combattere il sessismo istituzionalizzato di un sistema di potere che incarcera, tortura e uccide, anche solo per impedire che i capelli di giovani donne possano essere accarezzati dal vento. Un altro esempio positivo, in Europa, è l’introduzione del Meccanismo di adeguamento delle emissioni importate, o Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM), ovvero la tassa sul carbonio alla frontiera. Deciso di abbracciare la transizione ecologica, l’Europa si trova a dover subire la concorrenza sleale dei Paesi che scaricano sugli altri i costi socioeconomici che potrebbero derivare da una azione globale volta a contrastare il cambiamento climatico. Per questo ha deciso di introdurre un’imposta volta a proteggere l’industria europea impegnata a raggiungere la neutralità carbonica dai concorrenti esterni che si sottraggono alla responsabilità di combattere per un obiettivo di cui tutti potranno godere liberamente. In sostanza, non sarà possibile importare da un fornitore non-Ue una merce più inquinante senza incorrere nel sovrapprezzo, e i produttori extraeuropei non potranno inondare il mercato di merci meno costose ma prodotte con minore attenzione all’ambiente. Un altro esempio è il PNRR, lo strumento temporaneo pensato per stimolare la ripresa e che rappresenta il più ingente pacchetto di misure di stimolo per ricostruire l’Europa dopo la pandemia, con l’obiettivo di un’Europa più ecologica, digitale e resiliente.
Questi ultimi esempi lasciano intravedere la possibilità che le proiezioni statistiche sul futuro dell’Europa, che prevedono il destino di un continente colpito da crisi demografica, minor peso economico, irrilevanza politica, possano essere smentite dai fatti. L’Europa dispone di straordinarie potenzialità per cambiare la rotta di un destino altrimenti segnato, a condizione di porre in atto i piani d’azione già previsti e di guardare non solo al tasso di crescita, ma anche alla sua direzione. Cioè, di riequilibrare la dimensione della crescita con quella della solidarietà e di cogliere nella guerra un’opportunità per rispondere alle sfide geostrategiche e per compiere un salto di qualità nella soggettività politica. Perdere queste opportunità non sarebbe solo sbagliato: sarebbe disastroso.
Questo intreccio di problemi mette in luce la fragilità di un’economia sempre più globalizzata e interconnessa e di un assetto geopolitico che ha sostituito l’ordine liberale che ha governato il sistema internazionale a partire dal dopoguerra. Soprattutto, contribuisce a rendere sempre più urgente la necessità di trovare soluzioni politiche, economiche, ambientali a situazioni che, se non affrontate con realismo e lungimiranza, rischiano di avvitarsi su sé stesse. Si pensi all’evento emblematico del 2022, cioè la ricomparsa, dopo quasi ottant’anni, della guerra in Europa. L’aggressione all’Ucraina voluta da Putin ha interrotto decenni di pace e ha destabilizzato i meccanismi messi in atto per impedire la modifica violenta dello status quo internazionale. Oppure ai fattori di scala che stanno determinando un cambio di regime antropogenico nel funzionamento del sistema Terra, ben al di là del range storico di variabilità dei parametri ecologici e che stanno provocando danni ambientali tali da mettere a rischio i modelli consolidati della vita umana sul pianeta. Oppure che la pandemia ha evidenziato come la cronica mancanza di investimenti pubblici in un settore chiave dell’assistenza sanitaria, abbia rivelato quanto possa essere dannosa la persistente sottovalutazione delle potenzialità del settore pubblico nel migliorare la qualità della vita. Oppure ancora – l’elenco potrebbe continuare – allo scarso peso attribuito dai poteri pubblici alle questioni sull’economia digitale, come il potere monopolistico delle grandi aziende tecnologiche, la mancanza di privacy, le scarse capacità del governo e il divario digitale.
Però il 2022 verrà ricordato anche per altre ragioni, non tutte negative. L’esempio più eclatante è rappresentato dalle proteste che in Iran stanno prendendo di mira un regime teocratico violento e oscurantista. Una rivolta che non è azzardato definire femminista, perché mette in discussione un sistema di valori improntato in senso patriarcale e che mira a combattere il sessismo istituzionalizzato di un sistema di potere che incarcera, tortura e uccide, anche solo per impedire che i capelli di giovani donne possano essere accarezzati dal vento. Un altro esempio positivo, in Europa, è l’introduzione del Meccanismo di adeguamento delle emissioni importate, o Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM), ovvero la tassa sul carbonio alla frontiera. Deciso di abbracciare la transizione ecologica, l’Europa si trova a dover subire la concorrenza sleale dei Paesi che scaricano sugli altri i costi socioeconomici che potrebbero derivare da una azione globale volta a contrastare il cambiamento climatico. Per questo ha deciso di introdurre un’imposta volta a proteggere l’industria europea impegnata a raggiungere la neutralità carbonica dai concorrenti esterni che si sottraggono alla responsabilità di combattere per un obiettivo di cui tutti potranno godere liberamente. In sostanza, non sarà possibile importare da un fornitore non-Ue una merce più inquinante senza incorrere nel sovrapprezzo, e i produttori extraeuropei non potranno inondare il mercato di merci meno costose ma prodotte con minore attenzione all’ambiente. Un altro esempio è il PNRR, lo strumento temporaneo pensato per stimolare la ripresa e che rappresenta il più ingente pacchetto di misure di stimolo per ricostruire l’Europa dopo la pandemia, con l’obiettivo di un’Europa più ecologica, digitale e resiliente.
Questi ultimi esempi lasciano intravedere la possibilità che le proiezioni statistiche sul futuro dell’Europa, che prevedono il destino di un continente colpito da crisi demografica, minor peso economico, irrilevanza politica, possano essere smentite dai fatti. L’Europa dispone di straordinarie potenzialità per cambiare la rotta di un destino altrimenti segnato, a condizione di porre in atto i piani d’azione già previsti e di guardare non solo al tasso di crescita, ma anche alla sua direzione. Cioè, di riequilibrare la dimensione della crescita con quella della solidarietà e di cogliere nella guerra un’opportunità per rispondere alle sfide geostrategiche e per compiere un salto di qualità nella soggettività politica. Perdere queste opportunità non sarebbe solo sbagliato: sarebbe disastroso.
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