Il manifesto della società aperta
di SEBASTIANO MAFFETTONE
Si tratta, per certi versi, di un libro-manifesto, compreso in una collana editoriale, “Società aperta”, che vuole anche essere parte di un più vasto progetto cultural-politico, progetto che chi scrive nella sostanza condivide. Al cuore di questo progetto c’è la proposta di discutere criticamente le varie anime del liberalismo contemporaneo. Tutte hanno in comune l’ideale dello Stato di diritto, e in questo modo delimitano lo spazio politico decente, ma nel complesso vivono – come ha scritto Salvatore Veca nella presentazione dell’idea centrale – della “tensione essenziale fra un liberalismo che tende a limitare lo spazio dello Stato e a dilatare lo spazio delle transazioni di mercato, e un liberalismo che affida allo Stato e alla scelta pubblica compiti di giustizia distributiva”. Nell’ambito di questo spazio concettuale, Greblo e Taddio non hanno dubbi: il loro liberalismo è un liberalismo socialista. Ciò vuol dire che, in questa visione, il fondamentale primato della libertà non può essere separato da quello altrettanto fondamentale dell’eguaglianza. Corollario di questa tesi è che il significato dei vari possibili liberalismi dipende in maniera essenziale da come vengono interpretati i diritti economico-sociali.
Tutta la prima parte del libro è dedicata a chiarire il valore e la portata di un liberalismo socialista in cui l’eguaglianza si afferma come una condizione della libertà. Ma il liberalsocialismo di Greblo e Taddio non riguarda solo i temi economico-sociali, quelli del welfare state per intenderci. Confina piuttosto con una preoccupazione vibrante per il futuro dell’umanità e del nostro paese. Ed è qui che la struttura del libro, come anticipavo ab initio, si complica e diventa sui generis.
Entrando nel merito del contenuto, infatti, il libro ha una composizione in cui tra due saggi sostanzialmente accademici, il primo ricordato sopra sul liberalsocialismo e l’ultimo sul cosmopolitismo democratico, c’è una miriade di brevi considerazioni – di solito riprese da articoli di giornale, ma non per questo prive di rigore analitico – che coprono sia i grandi problemi del nostro tempo sia il recentissimo passato e il prossimo futuro dell’Italia.
Il saggio finale sul cosmopolitismo democratico – che in parte ispira il titolo del libro – ha il merito specifico di presentare i problemi del cosmopolitismo sull’asse globale-locale. Nella mia visione, questo asse è centrale – come sostengono Greblo e Taddio – per almeno due motivi. Da un lato, i grandi trend mondiali e i problemi che ne derivano sono senza dubbio globali. Senza neanche starci a pensare troppo, vediamo con facilità che finanza, pandemia, guerra, digitalizzazione, tutela dell’ambiente, migrazioni sono tutti fenomeni globali. Per cui, trovare soluzioni in questi ambiti è praticamente impossibile se non si riesce a creare una struttura istituzionale parimenti globale che li affronti per così dire a pari livello. Ma, e qui casca l’asino, la politica democratica è, per sua stessa costituzione, locale.
E malvolentieri delega il potere locale a livelli globali. In buona sostanza, se tu sei votato a Trento o Catanzaro non solo rispondi in primo luogo agli elettori di Trento e Catanzaro, ma con ogni probabilità non sei in grado di agire con competenza sulle grandi questioni globali di cui si è detto. Ciò perché la democrazia è nella sua essenza, come è stato detto, vernacolare e non indipendente dalle constituency elettorali.
Ma non è solo da questo punto di vista che la tensione locale-globale appare decisiva. Si pensi ai fallimenti dei vari progetti di esportazione della democrazia cui abbiamo assistito nel tempo per capirlo.
In sostanza, le istituzioni e le pratiche potenzialmente globali non poggiano sul vuoto ma sulla storia, che in qualche misura è sempre locale. Cosa che rende ogni plausibile cosmopolitismo serio sempre parziale, ogni globale sempre in parte glocale.
Ed è per questo essere un esperimento in un orizzonte glocale che – come si legge in diverse pagine del libro – l’Unione Europea, con tutti i suoi limiti, rappresenta una pietra di paragone per ogni forma di cosmopolitismo moderato. Tra le premesse liberalsocialiste e le conclusioni (moderatamente) cosmopolitiche, il libro tratta un numero notevole di temi di attualità, soprattutto politica ma non solo politica.
Tutta la prima parte del libro è dedicata a chiarire il valore e la portata di un liberalismo socialista in cui l’eguaglianza si afferma come una condizione della libertà. Ma il liberalsocialismo di Greblo e Taddio non riguarda solo i temi economico-sociali, quelli del welfare state per intenderci. Confina piuttosto con una preoccupazione vibrante per il futuro dell’umanità e del nostro paese. Ed è qui che la struttura del libro, come anticipavo ab initio, si complica e diventa sui generis.
Entrando nel merito del contenuto, infatti, il libro ha una composizione in cui tra due saggi sostanzialmente accademici, il primo ricordato sopra sul liberalsocialismo e l’ultimo sul cosmopolitismo democratico, c’è una miriade di brevi considerazioni – di solito riprese da articoli di giornale, ma non per questo prive di rigore analitico – che coprono sia i grandi problemi del nostro tempo sia il recentissimo passato e il prossimo futuro dell’Italia.
Il saggio finale sul cosmopolitismo democratico – che in parte ispira il titolo del libro – ha il merito specifico di presentare i problemi del cosmopolitismo sull’asse globale-locale. Nella mia visione, questo asse è centrale – come sostengono Greblo e Taddio – per almeno due motivi. Da un lato, i grandi trend mondiali e i problemi che ne derivano sono senza dubbio globali. Senza neanche starci a pensare troppo, vediamo con facilità che finanza, pandemia, guerra, digitalizzazione, tutela dell’ambiente, migrazioni sono tutti fenomeni globali. Per cui, trovare soluzioni in questi ambiti è praticamente impossibile se non si riesce a creare una struttura istituzionale parimenti globale che li affronti per così dire a pari livello. Ma, e qui casca l’asino, la politica democratica è, per sua stessa costituzione, locale.
E malvolentieri delega il potere locale a livelli globali. In buona sostanza, se tu sei votato a Trento o Catanzaro non solo rispondi in primo luogo agli elettori di Trento e Catanzaro, ma con ogni probabilità non sei in grado di agire con competenza sulle grandi questioni globali di cui si è detto. Ciò perché la democrazia è nella sua essenza, come è stato detto, vernacolare e non indipendente dalle constituency elettorali.
Ma non è solo da questo punto di vista che la tensione locale-globale appare decisiva. Si pensi ai fallimenti dei vari progetti di esportazione della democrazia cui abbiamo assistito nel tempo per capirlo.
In sostanza, le istituzioni e le pratiche potenzialmente globali non poggiano sul vuoto ma sulla storia, che in qualche misura è sempre locale. Cosa che rende ogni plausibile cosmopolitismo serio sempre parziale, ogni globale sempre in parte glocale.
Ed è per questo essere un esperimento in un orizzonte glocale che – come si legge in diverse pagine del libro – l’Unione Europea, con tutti i suoi limiti, rappresenta una pietra di paragone per ogni forma di cosmopolitismo moderato. Tra le premesse liberalsocialiste e le conclusioni (moderatamente) cosmopolitiche, il libro tratta un numero notevole di temi di attualità, soprattutto politica ma non solo politica.
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