Editoriale

Trump e Zelensky, a San Pietro uno scatto per la Storia

di Laura Tecce -


Non sappiamo ancora se l’esito del breve faccia a faccia fra il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il suo omologo ucraino Volodymyr Zelensky tra le navate della basilica di San Pietro prima del funerale  di Papa Francesco produrrà gli esiti sperati ma quel che è certo, al momento, è che lo scatto che ha immortalato quei quindici minuti di quel colloquio così privato eppure così platealmente pubblico in quel contesto così sacro e solenne e che in pochi minuti ha fatto il giro del mondo, è destinato ad entrare del pantheon delle foto iconiche che hanno segnato un’epoca, un cambio di passo, un nuovo paradigma. Nel corso della storia, ci sono state immagini potenti che sono riuscite a catturare molto più di un semplice momento, trasformandosi in simboli immortali di eventi, emozioni e cambiamenti sociali. Una delle prime a segnare profondamente l’immaginario collettivo è la celebre “Raising the Flag on Iwo Jima” scattata dal fotografo della Associated Press Joe Rosenthal il 23 febbraio 1945, durante la seconda guerra mondiale nella battaglia sull’isola omonima. Lo scatto ritrae sei militari statunitensi ripresi nell’atto di issare la bandiera Usa sulla vetta del monte Suribachi a Iwo Jima, appena conquistato alla guarnigione giapponese. Vincitrice del Premio Pulitzer alla fotografia nel 1945, l’immagine fu posta al centro di una estesa campagna propagandistica per sostenere lo sforzo bellico degli Stati Uniti, venendo subito riprodotta e diffusa in svariati formati e ottenendo un’immediata popolarità. Allo stesso modo, “V-J Day in Times Square” di Alfred Eisenstaedt, anch’essa datata 1945, che immortala un marinaio mentre bacia un’infermiera a New York il giorno della vittoria sul Giappone, incarna la gioia sfrenata di un’epoca che usciva da anni di conflitto globale. Arrivano poi gli anni Sessanta e portano con sé nuove icone e nuove istanze: una di queste è rappresentata dal pugno chiuso di Tommie Smith e John Carlos, una delle pagine più apertamente politiche della storia delle Olimpiadi. La famosa fotografia che documenta il gesto venne scattata da John Dominis il 16 ottobre 1968: sul podio per la premiazione dei 200 metri piani durante i Giochi Olimpici in Messico gli atleti afroamericani Smith e Carlos, rispettivamente primo e terzo classificato, mentre suona l’inno statunitense alzano il pugno guantato di nero simbolo del Black Power e abbassano lo sguardo. Alla protesta si unisce anche il secondo classificato, l’australiano Peter Norman: una silenziosa denuncia delle discriminazioni nei confronti dei neri d’America che nell’immediato produsse l’esclusione dei due atleti dalle gare successive ma che poi entrò nella storia e nella memoria collettiva tanto che nel 2005 quell’immagine “prende corpo” in una statua nel campus dell’Università di San José in California. Impossibile poi non citare “Earthrise”, scattata nel 1968 dall’astronauta William Anders durante la missione Apollo 8. La Terra che sorge sopra l’orizzonte lunare apparve fragile e bellissima, cambiando per sempre la percezione dell’umanità su sé stessa.  Così come, ancora nei “favolosi sixties”, quattro ragazzi di Liverpool – “the fab four” – cambieranno per sempre la storia della musica e saranno immortalati in un iconico scatto impresso nella memoria di intere generazioni: era l’8 agosto del 1969 e i Beatles vengono fotografati da Iain Mcmillan mentre attraversano le strisce pedonali di Abbey Road.Negli anni Ottanta la foto di Steve McCurry della “Ragazza afgana”, con i suoi occhi verdi penetranti, divenne una delle copertine più celebri del National Geographic. Lo sguardo fiero e vulnerabile di Sharbat Gula raccontava la tragedia dei rifugiati afghani meglio di qualsiasi reportage scritto. Così come “Tank Man” (1989), lo scatto dello studente che si ferma davanti ai carri armati in piazza Tiananmen a Pechino o “The Falling Man” (2001), uno degli scatti più potenti dell’11 settembre che mostra un uomo che cade dal World Trade Center. Ogni epoca ha le sue immagini-simbolo, spesso scattate in modo casuale, a volte costruite consapevolmente. Oggi, nell’era dei social network, l’iconicità si diffonde ancora più rapidamente, contribuendo in tempo reale  – come è avvenuto per l’immagine di Trump e Zelensky seduti l’uno di fronte all’altro a San Pietro – a raccontare storie senza bisogno di parole, a cambiare coscienze, a segnare un’epoca.


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