Il Papa era un uomo di Dio, non un pupazzo da propaganda politica
Se ne va un uomo di pace. Se ne va il vicario di Cristo in terra. Se ne va Jorge Mario Bergoglio, tornando alla casa del Padre. Miliardi di cattolici si stringono attorno a Papa Francesco, loro padre spirituale. Miliardi di esseri umani si raccolgono in preghiera o in riflessione, scavando dentro sé stessi per leggere dentro la propria anima. Se ne va, infine o prima di tutto, un uomo. Stiamo rispettando questo lutto? Stiamo rispettando questa figura importantissima nella storia della Chiesa Cattolica e dell’intera umanità di questo inizio millennio? Stiamo rispettando, infine o prima di tutto, l’uomo? Non sono domande retoriche ma concreti dubbi, interrogativi che la nostra coscienza -di cristiani per chi crede, di giornalisti per chi scrive, di cittadini ed esseri umani per tutti- non può che porsi dopo aver assistito ai commenti e alle interpretazioni sulla figura di Papa Francesco. Tirato per l’abito talare in vita e vieppiù in morte, benché il suo cadavere, il suo corpo di uomo, fosse ancora caldo. Il Papa di sinistra, il Papa comunista, il Papa glorificato immotivatamente da noi di sinistra benché sia stato un conservatore (l’affermazione incredibile viene da Micromega), il Papa che peggio di così nessuno potrà esserci (qui invece è una giornalista di destra), fino al titolo di Libero che parla di Ombre rosse, in assonanza alla parallela e sprezzante definizione dei magistrati, che di rosso avrebbero le toghe. Ciascuno ha naturalmente la propria sensibilità, ma da qui ci sembra nauseante questo gioco, ed anche un po’ macabro. Il Papa faceva il Papa, guidava una comunità di miliardi di uomini e donne che credono alla natura divina di Gesù Cristo e allo Spirito Santo che è Signore e dà la vita. Il Papa non è un attorucolo da invitare ad una manifestazione o un regista fallito cui si offre il pulpito perché è amico del sindaco di turno. Il Papa non è un presentatore televisivo che un partito di governo o di opposizione deve sedurre per farsi bello. Il Papa è una guida spirituale, ed è una cosa indegna utilizzarlo per questa maledetta, ridicola campagna elettorale permanente che ammorba l’Italia da trent’anni. Ma ciò che più lascia sgomenti -che si sia religiosi o meno- è che a forzare la figura di Jorge Mario Bergoglio, a interpretare con puerile intento strumentale la sua parola, il suo cammino e il suo pontificato, non siano tanto i politici in senso stretto, quanto i giornalisti che di politica vivono o vivacchiano. Quelli che bivaccano da decenni in un immaginario accampamento situato proprio accanto le sedi dei partiti, i palazzi del Governo, del Parlamento, delle sedi comunali e regionali. Sono figure talvolta squallide e talvolta persino comiche, sono le sagome di giornalisti che nei fatti fanno il mestiere dell’agit-prop, del galoppino virtuale, del lacchè reale. Pensavamo che almeno di fronte alla morte, specie ad una morte che percuote la spiritualità e la coscienza di milioni di italiani, potesse vincere il pudore, il morso della coscienza professionale o di quella umana. Invece no: Bergoglio che in vita ammoniva sui pericoli del riarmo e sui crimini commessi in Ucraina e a Gaza veniva incredibilmente tacciato d’essere -a seconda del commentatore- filo Putin o filo Hamas. Bergoglio morto dopo essersi generosamente dato alla sua comunità fino a poche ore prima, nella celebrazione della Santa Pasqua, è “uno di noi” o “uno di loro”. No, cari colleghi, abbiate pazienza: era uno di Dio. Di quel Dio tanto buono da saperci perdonare anche quando cadiamo così in basso.
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