Economia

I dazi scatenano il reset economico, parola di Fmi

di Giovanni Vasso -

Il logo del Fondo monetario internazionale, in una foto d'archivio. ANSA


Il grande reset. Ma stavolta c’entrano poco i complottisti. Donald Trump dice che, alla fine, un accordo “si farà”. Ursula von der Leyen, desiderosa di salvare (almeno) la faccia, rivolge contro gli Usa le parole pronunciate dal presidente quando parlò di “fila di leader alla Casa Bianca” pronti a “baciargli il culo”. La presidente della Commissione, però, mantiene una certa eleganza e si limita a parlare di “fila di Paesi pronti a trattare con l’Unione europea”. In mezzo, tra l’ennesima impennata dell’oro che sfonda quota 3.500 dollari e l’ulteriore flop della moneta Usa, l’ormai solito strillo apocalittico giunto, ieri, dal Fondo monetario internazionale. Che, in linea con il resto degli organismi nazionali e internazionali, ha limato pesantemente le stime di crescita. Per tutti. Dagli Usa all’Italia, passando per la Cina. Che resta il vero (ma non l’unico) obiettivo dell’offensiva tariffaria scatenata da Trump su scala globale.

Il Fmi ha sentenziato: sarà un anno nero, per tutti. Il Pil globale non centrerà il 3% di crescita ma si fermerà ben al di sotto: +2,8%. Quello americano crescerà dell’1,8% nel 2025 mentre le previsioni lasciavano credere in un’impennata del 2,7%. Non ci sarà recessione ma il rischio aumenterà dal 25% al 37%. La Cina crescerà “solo” del 4,5% quest’anno e del 4,6% il prossimo, rispettivamente 0,6 e 0,5 punti percentuali in meno rispetto alle ultime previsioni. La Russia, invece, crescerà dell’1,5% segnando un aumento rispetto alle ultime proiezioni di uno striminzito, ma eloquente, decimo di punto. L’Ue, invece, dovrà accontentarsi di veder salire il proprio Pil solo dello 0,8% sul 2025 e dell’1,2% sul 2026. Sarà un anno orribile per la Germania: se tutto va bene, sarà un anno a crescita zero. La Francia è attesa da una crescita dello 0,6% quest’anno e dell’1% il prossimo (tagli rispettivamente di 0,2 e 0,1 punti percentuali) mentre per l’Italia la previsione del Fmi parla di 0,4% di crescita quest’anno e 0,8% il prossimo, con tagli di 0,3 e 0,1 punti percentuali. La Spagna può ancora volare: 2,5% quest’anno e 1,8% nel 2026. Ma il rapporto, strettissimo, con la Cina (testimoniato dal recente viaggio del premier Pedro Sanchez) può rappresentare un’arma a doppio taglio in vista dei negoziati tra Usa e Ue. Bruxelles, che pubblicamente deve tenere il punto, prega e spera in un accordo rapido e veloce con Washington. A cui ha offerto tutto: l’acquisto del gas, un piano di riarmo ultramiliardario. Resta da limare il “dettaglio” Big Tech che vorrebbe fare un solo falò della legislazione Ue sul digitale. Il viaggio americano di Giorgia Meloni potrebbe concretizzare le sue premesse fin da subito. Aveva strappato, la premier italiana, la promessa di un incontro a Roma da parte di Trump. Che nella Città Eterna arriverà in settimana, per partecipare alle esequie di Papa Francesco. The Don potrebbe chiuderlo subito il fronte europeo. “I Paesi fanno la fila per lavorare con noi”, ha detto von der Leyen a Politico riconoscendo, però, che “l’ordine globale sta mutando più profondamente che mai” adesso “da quando è finita la Guerra fredda”. Non è difficile immaginare la condizione principe che Trump porrà a Bruxelles: farla finita con la Cina. E con le politiche green. E non perché il presidente Usa sia un inquinatore che si diverte a deturpare il mondo. Ma perché le filiere del settore, dopo un promettente inizio in Francia, sono finite tutte in mano a Pechino. Come ha riconosciuto la stessa Bruxelles e come ha sancito il fatto che, da Washington, sia partito un ordine di tassazione alla frontiera per oltre il 3500% (3521% per la precisione) sui pannelli fotovoltaici in arrivo dal Sud est asiatico. Dove, però, non arriveranno mai i Boeing che il governo di Pechino ha deciso di rispedire al mittente una volta giunti al confine con la Cina. Dall’America, inoltre, arriva un’altra notizia che potenzialmente è una bomba: Trump avrebbe intenzione di ancorare il prezzo dei farmaci in America a quello medio dei mercati delle altre nazioni più progredite. Un reset. In pratica, si tratterebbe di rispondere al (gravissimo) dramma delle medicine vendute a peso d’oro che stanno letteralmente facendo infuriare gli Stati Uniti come, purtroppo, ha dimostrato l’omicidio di Brian Thompson, Ceo di UnitedHealthCare da parte di Luigi Mangione, trasformatosi in un’icona. La verità è davanti agli occhi: “Stiamo entrando in una nuova era, il sistema economico globale che ha funzionato negli ultimi ottant’anni sta per essere resettato”. E non lo ha detto qualche svalvolato complottista fissato ma Pierre Olivier Gourinchas, che di professione è capoeconomista proprio per il Fondo monetario internazionale. Quando si affrontano cambiamenti epocali, ci si attacca con tutte le proprie forze alle certezze, alle sicurezze, forse anche alle proprie manie. E così Eurostat riferisce che l’Ue, seppur di fronte a previsioni di crescita a dir poco magre e a scenari economici non proprio idilliaci, ha di che esultare: il debito pubblico dei Paesi, alla fine dell’anno scorso rispetto al terzo trimestre 2024, è sceso all’81% del Pil rispetto all’81,6%. Meglio ancora va l’area euro dove il rapporto debito-Pil si è attestato all’87,4% mentre il deficit si è attestato al 3,2% del Pil, in crescita rispetto al 2,8% nel terzo, e al 3,4% nell’Ue, rispetto al 3%. In Italia, il rapporto si attesta al 3,4%.


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