Crepe nel centrodestra, a Milano cena indigesta
Il futuro di Milano, si decide a cena? Non sappiamo se chiederlo agli oltre seimila ristoratori milanesi, o al più celebre siciliano di Milano, Ignazio La Russa da Paternò. Di certo se ceni a Milano puoi scegliere non solo la cucina meneghina, ma tutti quei ristoranti che propongono le cucine regionali italiane (tutte!) e i tantissimi locali che offrono la cosiddetta “cucina etnica”, definizione che dovrebbe preoccupare più i docenti di lettere (ma lo sapete che vuol dire etnico? Vien voglia di chiedersi) che i buongustai. Il ministro degli esteri nonché vicepremier e leader di Forza Italia Antonio Tajani, potrebbe quindi sbizzarrirsi prima di ogni missione all’estero facendo un salto in zona Scala (purché la cena non sia l’ultima!) ed assaggiare la cucina vietnamita, eritrea, siriana, messicana, indiana, argentina, coreana, oltre naturalmente alle steak house Trump style e alla miriade di cucine cinesi e giapponesi che colorano la fu capitale morale. Solo che è stato proprio Tajani a dire che il futuro di Milano non si sceglie a cena. Olo che è stato proprio Tajani a dire che il futuro di Milano non si sceglie a cena. E l’ha detto dopo che il luciferino ‘Gnazio -che oggi ricopre le funzioni di Presidente della Repubblica- ha proposto di far uscire Milano dalla Sala cacciando la sinistra coi Lupi. Tajani della lupa è figlio, ma non ama i Lupi scelti così, dunque ha ululato che i nomi fatti sono prestigiosissimi, ma il metodo è invece indigeribile, come involtini primavera mangiati in pieno inverno. Dunque anche nel teoricamente granitico centrodestra iniziano a vedersi le crepe, mentre si servono le crêpes. La Russa (il politico, non l’insalata) replica sarcastico che Tajani lo inviterebbe volentieri a cena, che non si sognerebbe nemmeno di pensare ad un candidato che non sia gradito a Giorgia Meloni, che non ha nulla contro i civici, ma anche che ricorda bene come finì l’ultima volta. E il punto è proprio questo: se nel centrosinistra -giorno dopo giorno, ora dopo ora, cena dopo cena- sibilano i missili del fuoco amico, in un perenne tutti contro tutti che nemmeno nelle partitelle fra bambini delle elementari si gioca in modo così agguerrito, nel centrodestra che oggi continua ad essere maggioranza nel paese e nei sondaggi, qualche guaio c’è pure. Uno è la scarsa capacità di trovare buoni candidati sindaci, e di perdere per ciò elezioni potenzialmente già vinte, non solo comunali. In Sardegna imporre Truzzu (a cena? a pranzo? ad una colazione sulla spiaggia del Poetto?) ha spianato la strada a Todde. A Roma l’incredibile caso Michetti -candidato senza mortadella, ottimo solo per le radio locali- ha lasciato la destra scottata come una costoletta d’abbacchio, e proprio a Milano il poco incisivo Luca Bernardo è stato preso a paccheri da Sala, con 26 punti percentuali di distacco: moltissimo sugo. In realtà queste scaramucce mostrano la filigrana dei tesissimi nervi che guizzano nella compagine governativa, con buona pace dei nervetti gustati anche da Donzelli e Gasparri (che a cena c’erano) e delle granseole di Zaia, che in Veneto non vuole certo restare a bocca asciutta. Insomma si incrociano le lame anche in casa centrodestra, e non sono solo quelle utili a tagliare il filetto, ma queste bombette scoppiano in attesa del ritorno di Meloni dal suo lunch con Donald: i Giorgia boys confidano infatti che al rientro lei calmi le acque, gassate o meno. Naturalmente anche in giorni in cui sono i dolori destrorsi a tenere banco, alcuni parlamentari del PD (Delrio, Quartapelle, Madia, Nicita, etc) pensano bene di sconfessare la segretaria Schlein e attaccano l’iniziativa unitaria per il riconoscimento della Palestina. Un po’ come servire, al posto del dolce, un indigesto salame piccante.
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