Lo scontro Usa-Cina diventa guerra di numeri e nervi
epa07681581 A Chinese official waits on a chair in the corridors outside a bilateral meeting between Chinese President Xi Jingping and US President Donald Trump during the second day of the summit in Osaka, Japan, 29 June 2019. It is the first time Japan will host a summit. The summit gathers leaders from 19 countries and the European Union to discuss topics such as global economy, trade and investment, innovation and employment. EPA/LUKAS COCH AUSTRALIA AND NEW ZEALAND OUT
Dopo aver mostrato i muscoli, la Cina esibisce i numeri: il Pil è salito oltre ogni più rosea aspettativa insieme alla produzione industriale che crescono, nel primo trimestre di quest’anno, rispettivamente del 5,4% e del 7,7%. Certo, non pesano ancora i dazi Usa ma l’importante, quando si è impelagati in una guerra, anche commerciale, è riuscire a mostrare la propria potenza all’avversario. Pechino, mentre Xi proseguiva il suo viaggio nel Sud-Est asiatico visitando la Malesia, ha deciso di cambiare il “negoziatore” al tavolo dei dazi, sostituendo il veterano Wang Shouwen (che con Trump aveva già avuto a che fare nell’ormai lontano 2020) con Li Chenggang. E nel farlo ha inviato un messaggio chiaro e tondo: “L’America smetta di lamentarsi e non abbia paura”. Di competere. Il paradosso del socialismo di mercato che le suona a chi ha inventato liberismo e globalizzazione. Una risposta a chi, dalla Casa Bianca, spiegava come la palla fosse nel campo del Dragone e che sarebbe toccata a loro la prossima mossa. Ossia accettare di scendere a più miti consigli con Washington. I numeri, però, ce li ha anche The Don. L’inflazione in America ha cominciato a calare, ora è al 2,4%. Meglio, molto meglio, delle attese. A Powell, che s’ostina a tenere i tassi alti, sarà venuto un coccolone. Trump si gode la vittoria: “Gli Stati Uniti stanno incassando numeri record per via dei dazi, con il costo di quasi tutti i prodotti in calo, inclusi benzina, generi alimentari e praticamente tutto il resto. Allo stesso modo, l’inflazione è in calo. Promesse fatte, promesse mantenute”, ha scritto su Truth. Ma il presidente adesso deve fare i conti con la defezione della California che, persi i turisti canadesi, si dice pronta a trascinare Donald Trump in tribunale pur di marcare la distanza “di oltre 3.200 km” da Washington. Una battaglia che tutto è tranne che la (solita) sparata colorita dell’ambizioso governatore dem Gavin Newsom: il turismo “canadese” in California vale 3,72 miliardi di dollari a fronte di 1,8 milioni di presenze nel 2024 ma il trend è in picchiata in tutti gli States: -12%. Va da sé che per Los Angeles si preannuncia un bagno di sangue. Quello che ha profetizzato il Wto, l’organizzazione mondiale del commercio. Che ieri, a proposito di numeri, dazi, Usa e Cina, ha svelato che l’intero flusso degli scambi globali rischiano di perdere l’1,5% del loro volume attuale. Cifre, ancora cifre. Ferali. Arrivano dall’agenzia di rating Fitch secondo cui la crescita del prodotto interno globale, per la prima volta dal 2009, potrebbe cadere sotto i due punti percentuali. E per non farsi mancare nulla, Fitch “bastona” i due contendenti nelle previsioni di crescita: la Cina può perdere fino allo 0,4%, l’America rischia di lasciare sul campo mezzo punto di Pil. Chi, però, pagherà per tutti sarà la (solita) Europa. Per Fitch, l’Ue rimarrà inchiodata sotto l’1% di crescita. Le parole del commissario Ue alla Giustizia, Michael McGrath, secondo cui “occorre prepararsi anche all’ipotesi di non riuscire a trovare un accordo”. Sia chiaro, non che Bruxelles voglia “rompere” con gli Stati Uniti. Più in generale, un alert per non farsi trovare impreparati, cosa che all’Ue riesce fin troppo bene da troppi anni. McGrath sa di che parla: è irlandese e Dublino, che ha garantito tassazioni di favore alle multinazionali americane digitali e della farmaceutica, è da tempo nel mirino del Segretario Usa al Commercio, Lutnik, che ha bollato la strategia celtica come la sua “truffa fiscale preferita”. In Germania, intanto, c’è chi fa i conti: coi dazi, l’economia tedesca perderebbe fino a 290 miliardi di euro. L’Ue, però, deve evitare di frantumarsi prima ancora che arrivi la bufera: “non è un dialogo tra sordi”, ha ribadito Bruxelles dopo il flop del negoziato Usa-Ue e ora anche i burocrati continentali sanno cosa vogliono, davvero, gli americani: essere spalleggiati contro Pechino con l’obiettivo di isolarla e metterla spalle al muro. Non è facile. Né politicamente né economicamente. Ma non tutto è nero o grigio. C’è da godersi dati positivi sull’inflazione. Eurostat ha riferito che è calata, nell’area euro, al 2,2%. Un soffio della soglia (ideologica) del 2% fissata dalla Bce. Che, oggi, non avrà più nessuna scusa per tagliare, ulteriormente, i tassi di un altro quarto di punto. Se lo aspettano tutti, un segnale di sostegno alla già affannata e preoccupatissima economia Ue. E arriverà, giurano gli analisti. L’inflazione è in discesa anche in Italia e a marzo ha toccato l’1,9%. Un dato in ribasso rispetto alle stime preliminari che parlavano di un 2% secco. Il carrello della spesa è al 2,1%. I consumatori, che già s’aspettano la mazzata dei dazi, urlano alla “stangata di Pasqua” e il Codacons ha calcolato il maggior esborso per una famiglia tipo in 624 euro in più in un anno. Somma che sale fino a 851 euro per ogni nucleo familiare con due figli. A Milano, in Borsa, le cose sono andate meglio che agli altri in Europa: +0,6%. I mercati sono rimasti delusi dal caso chip e dalle dichiarazioni di Nvidia sui mancati affari per 5,5 miliardi a causa dei dazi. Sempre questione di numeri. Alla fine è sempre una questione di numeri: che si parli di Cina, Usa, dazi o di spesa quotidiana. Tutto si tiene, tutto è legato.
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