Economia

PRIMA PAGINA – È un Vietnam

di Giovanni Vasso -


Come ogni guerra che si rispetti, anche quella dei dazi ha i suoi fronti di scontro: Usa e Cina iniziano a suonarsele di santa ragione. In terra, per mare e nell’aria. Se la vicenda navale e portuale è ormai cosa nota, diventa una questione dirimente lo scontro in terra di Vietnam. Dove Xi, nei giorni scorsi, porgendo a piene mani accordi economici e memorandum d’intesa al signor Lao Tam, leader del Paese del Sud est asiatico. Quarantasei firme che hanno fatto incavolare, e di brutto, Donald Trump. Che, da Washington, ha bollato la santa alleanza in nome del multipolarismo del libero commercio mondiale, come un incontro tra bari intenzionati a trovare “il modo di fregare” gli Stati Uniti. Che, al Vietnam, avevano imposto tariffe fino al 46%. Per una ragione molto semplice, strategica: le multinazionali, quando il clima tra Usa e Cina s’è fatto teso (e dunque già ai tempi dell’amministrazione Biden), hanno aperto lì le loro fabbriche a basso costo. S’arrabbiava Trump e scaricava in terra la sua furia sugli agricoltori messicani, tassando del 21% i pomodori prodotti a sud della frontiera, la Cina ha scatenato l’offensiva dei cieli. Stop all’acquisto, da parte delle compagnie aeree asiatiche, di nuovi Boeing. Una stilettata ricca di significato, come da inveterata tradizione diplomatica cinese. Già, perché a Boeing, in crisi per una serie di incidenti, è stata dilaniata dagli scontri tra vertici aziendali e dipendenti che hanno dato vita al più lungo sciopero che l’America ricordi. Trump non l’ha presa benissimo e c’è da capirlo. S’è congelata una commessa golosissima da dieci velivoli Boeing 737 Max destinati alle flotte di China Southern Airlines, Air China e Xiamen Airlines : “Curiosamente – ha scritto su Truth -, hanno appena disatteso il grande accordo con Boeing, dichiarando che non prenderanno possesso degli aerei, nonostante fossero pienamente impegnati”. A metterci il resto, poi, ci ha pensato il sempre estroso Michael O’Leary, padre padrone di Ryanair, che ha annunciato la volontà di congelare gli ordini, sempre all’azienda americana, se i dazi rimarranno tra Usa e Ue. Che, ieri, hanno tentato un riavvicinamento ma l’incontro, durato due ore, tra il commissario Sefcovic e l’omologo Usa Lutnik è stato l’ennesimo buco nell’acqua. La notizia, vera, è che agli americani non interesserebbe granché l’offerta di dazi zero reciproci sui beni industriali. Se così fosse, verrebbe a crollare buona parte dell’impalcatura negoziale (almeno quella resa pubblica da Bruxelles). Sconfortata, Ursula von der Leyen, che continua a professarsi “grande amica dell’America e convinta atlantista” ha dichiarato a Die Zeit che “i rapporti” con gli Usa adesso “sono complicati”. E tenta il tutto per tutto invitando in Europa le fabbriche di armi americane: “Vorrei che in futuro si facesse di più in Europa. Questo potrebbe anche significare che aziende americane possono sviluppare e produrre beni in Europa. Il punto cruciale è che i miliardi che stiamo investendo ora dovrebbero avere un impatto positivo anche sull’economia europea, ben oltre l’industria della difesa”. E mentre la Spagna alle prese coi dazi come tutto il resto del mondo affronta le conseguenze della visita in Cina di Sanchez e trema alla reazione degli Usa, Giorgia Meloni si prepara a volare alla Casa Bianca. “Faremo del nostro meglio, io sono consapevole di quello che rappresento e sono consapevole di quello che sto difendendo, vediamo come si sviluppa il quadro nel quale ci troviamo ma ricordiamoci che noi abbiamo la forza, la capacità, l’intelligenza e la creatività per superare ogni ostacolo”, ha dichiarato la premier ai Premi Leonardo. Alla presidente non manca l’ottimismo: “Abbiamo superato ostacoli ben maggiori, ne supereremo anche di peggiori”. La linea del governo è quella di smorzare gli allarmismi. Il sottosegretario al Mef Federico Freni, a Rai Radio1, ha deplorato la “troppa isteria e agitazione” invitando a “parlare e ragionare con Trump impostando quello che potrebbe essere un nuovo ordine mondiale valido per l’Italia e l’Europa”. Giorgetti, a sua volta, ha affermato di temere, più dei dazi, le nuove politiche Usa sulle criptovalute.


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