PRIMA PAGINA – Chi ride ultimo?
epa12031430 Containers are stacked at a transshipment terminal in Prague, Czech Republic, 14 April 2025. US President Trump initiated a trade war with most of America's trading partners, as several countries were granted a temporary tariffs exemption. EPA/MARTIN DIVISEK
Trump toglie i dazi hitech ma la Cina blocca l’export “critico”. Quando il gioco si fa duro, i duri iniziano a giocare. Forte, pesante. La Cina e l’America hanno ripreso a guerreggiare e il terreno di sfida diventa quello dell’hitech. Nel pomeriggio di ieri, il New York Times ha confermato ciò che si diceva ormai da ore ossia che Pechino avrebbe chiuso l’export di terre rare e di magneti verso gli Stati Uniti. In replica alle dichiarazioni di Donald Trump, anzi del Segretario al Commercio Howard Lutnik, secondo cui, presto, sarebbero potuti arrivare nuovi dazi, mirati, su chip e semiconduttori. E mentre il mondo si divide, l’oro torna a calare, il dollaro prosegue a svalutarsi, il petrolio recupera qualcosina prima della stroncatura Opec e le borse di tutto il pianeta festeggiano buoni guadagni. A Milano la seduta s’è conclusa poco sopra i 35mila punti, con un rimbalzo del 2,88%. Migliore d’Europa, trascinata dai rialzi di Tim e dei bancari, in particolar modo Mps e Banco Bpm. Subito dopo c’è Francoforte (+2,57%) e Parigi (+2,37%). In grande spolvero anche Amsterdam e Madrid, rispettivamente in rialzo del 2,41% e del 2,37% mentre Londra guadagna il 2,12%. Dall’apertura di Wall Street son giunte notizie incoraggianti: il Dow Jones è salito di un punto percentuale (+1.02%), meglio ha fatto lo S&P 500 (+1,60%) ma il primato tra gli indici appartiene al Nasdaq che è salito del 2,18%. La notizia del giorno, però, è arrivata dall’Asia dove le navi cariche di terre rare e magneti sono rimaste alla fonda. È una ritorsione del governo cinese. In teoria contro l’ipotesi di imporre tariffe “mirate” sui prodotti hitech made in China dopo aver escluso laptop, smartphone e tablet dalla lista dei prodotti appesantiti dalle gabelle doganali. Lo stesso Donald Trump, quando da noi era pomeriggio inoltrato, s’era detto “flessibile” e convinto della necessità di “non voler danneggiare nessuno”. Nella pratica, si tratta di una (durissima) reazione alle nuove regole della logistica che imporrebbero pesanti tasse, inizialmente calcolate addirittura fino a 1,5 milioni di dollari a carico, alle navi anche solo di fabbricazione cinese a ogni loro sbarco nei porti Usa. Una decisione che potrebbe avere serissime conseguenze su tutta la logistica globale, cosa a cui i cinesi tengono tantissimo. Il blocco dell’export di minerali critici e magneti rischia di mandare in tilt, secondo il Nyt, l’industria automobilistica ma pure quella aeronautica e della difesa. Proprio nei giorni in cui Washington sta tentando di imporre all’Europa non solo l’acquisto di gas e materie prime energetiche ma anche ordini più solidi alla sua industria della difesa. Al punto che a Bruxelles, oltre all’ex Rearm Ue, ora si parla apertamente di un Mes per i cannoni. Gli Usa, però, non possono calcare eccessivamente la mano. Perché la Cina è pronta ad approfittare di ogni eventuale scollamento tra le due sponde dell’Atlantico. Mentre il presidente Xi Jinping si trovava in Vietnam a “corteggiare” la nuova Mecca, e per questo bersagliata dai dazi, della produzione delocalizzata occidentale, dalla moda all’hitech, invocando l’unità del Sud-est asiatico contro l’esosità americana, il portavoce del ministero degli Esteri, Lin Jian, ha speso parole al miele per l’Ue dopo la visita del premier spagnolo Pedro Sanchez che, riconosciute le ragioni cinesi sull’Unica Cina (in pratica sulla questione Taiwan). Per Lin Jian “la Cina è pronta a lavorare con la comunità internazionale, inclusa la Spagna, per schierarsi dalla parte giusta della storia”, cioè quella del commercio senza barriere alla frontiera che ha contribuito a trasformare il Dragone in una vera e propria potenza globale in grado di rivaleggiare con gli Usa sul terreno che proprio gli americani avevano voluto fortemente, coltivato e preparato: quello del “villaggio globale”. In Europa, però, occorre far presto e bene. La Germania ha già detto addio alle speranze di crescita per il suo export per colpa dei dazi. Intanto si fanno sempre più solide le voci di chi vorrebbe fare un po’ le pulci a Big Tech. La sproporzione, in termini di servizi, tra Usa e Ue è clamorosa: 109 miliardi, a favore di Washington. Meta ha già annunciato l’avvio dell’addestramento della sua Ai utilizzando i dati degli utenti a cui, bontà di Mark Zuckerberg, sarà concessa l’opportunità di opporsi. Si spera non con quei post catena di Sant’Antonio, ovviamente bufala, di qualche anno fa. Big Tech, però, crede in Trump. E sa benissimo che se l’Europa iniziasse a far sul serio anche solo ad applicare le complesse e astruse norme che s’è auto-imposta, sarebbero dolori veri altro che dazi per quanto hitech.
Dal punto di vista delle questioni cruciali c’è da segnalare che, ieri, il dollaro ha perduto ulteriormente valore giungendo a 1,13 sull’euro. I mercati già scommettono che, presto, l’euro varrà (almeno) 1,2 dollari. Il petrolio, nel frattempo, risale di poco sopra i 63 dollari al barile. Ma accade che l’Opec, a causa dei dazi, come riporta Reuters, abbia tagliato ulteriormente le previsioni di domanda a 1,3 milioni di barili rispetto agli 1,4 giornalieri. E se è vero che, finalmente, gli automobilisti apprezzano cali nel prezzo dei carburanti (giunti ai livelli di dieci anni fa), lo è altrettanto il pericolo che si tocchi il punto in cui estrarre il greggio costerà tanto che non converrà più farlo. E ciò potrebbe scatenare un’ulteriore avvitamento dei prezzi e problemi alla produttività.
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