Salute

Malati cronici, 10 anni per avere una diagnosi

di Redazione -


Ci vogliono dieci anni, a un malato di patologie croniche su tre, per ottenere una diagnosi. Un paziente su quattro è costretto a spostarsi altrove per potersi curare. Questi sono alcuni dei dati che Cittadinanzattiva ha diffuso, ieri, nel rapporto sulle politiche della cronicità. Un quadro allarmante a cui la pandemia Covid ha dato la mazzata finale allungando le liste d’attesa e, per un malato su due, i temi per esami clinici necessari non solo per la diagnosi ma per valutare l’andamento della situazione di salute.
Si tratta di un problema che affligge una parte di popolazione ben più vasta di quella che potrebbe sembrare. Secondo l’Istat, infatti, ben quattro italiani su 10 soffrono “di almeno una malattia cronica” e due su 10 “di due o più malattie croniche”. Le stime parlano di circa due milioni di cittadini affetti da malattie rare, moltissimi dei quali in età pediatrica.
Tra i cittadini intervistati (871 pazienti e ottantasei presidenti di associazioni di malati e famiglie), è emerso che oltre il 26% è in cura per una patologia (cronica o rara) diagnosticata da più di 20 anni; il 19% da 11 a 20 e da 6 a 11 anni, il 18,5% da 3 a 5 anni. Il rapporto ha evidenziato “come più di un paziente su 3 ha atteso oltre 10 anni dalla comparsa dei primi sintomi alla diagnosi e quasi uno su 5 da 2 a 10 anni. I motivi dei ritardi nella diagnosi sono, per 2 pazienti su 3, la scarsa conoscenza della patologia da parte del medico di famiglia o del pediatra; per oltre la metà la sottovalutazione dei sintomi; per il 45% circa la mancanza di personale specializzato sul territorio, e per quasi il 26% le liste di attesa”.
Non è finita qui. Stando ai dati contenuti nel rapporto Cittadinanza attiva: “Solo il 39% di coloro che ha una patologia rara è in cura presso un centro che parte della rete delle malattie rare, istituita nel 2001; il 28% non sa se il centro fa parte o meno di una rete di malattie rare; il 18% dice che non ne fa parte, e il 14% non è in cura presso nessun centro”. Insomma, si legge nel rapporto: “Oltre il 60% dei malati rari non riceve cure standardizzate sul territorio e un ulteriore 17,5 per cento si affida a un centro privato. Inoltre, circa il 27% è costretto a spostarsi presso un’altra regione: il 38% dichiara di migrare per ricevere le cure di cui ha bisogno verso la Lombardia, il 14% verso il Lazio, la Liguria e la Toscana, il 9,5% verso l’Emilia Romagna, e circa il 5% verso Campania e Veneto”.
Il turismo sanitario è solo uno, seppur tra i più rilevanti, indicatori delle disparità e dei divari territoriali esistenti: “Il grido di allarme delle associazioni riguarda poi le disuguaglianze sul territorio, dove la salute non è uguale per tutti”, denuncia Cittadinanzattiva. E dunque: “ Per oltre l’80% delle associazioni le disparità fra i territori si annidano nella modalità di gestione delle prenotazioni e dei tempi di attesa; per il 78,6% nella garanzia di un sostegno psicologico e nelle differenze nel riconoscimento di invalidità, accompagnamento e handicap; per circa il 76% nella presenza o meno di centri specializzati e di rete; per il 73% nella diffusione a macchia di leopardo dei servizi di telemedicina, teleconsulto, monitoraggio online; per la stessa percentuale nella presenza di percorsi di cura o Pdta, e per il 50% nell’accesso all’innovazione”.


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