Politica

Mercati altalenanti a causa dei dazi. Intervista ad Alessandro Cattaneo

di Giuseppe Ariola -


I mercati sono sotto stress per lo scossone provocato da dazi imposti da Donald Trump, con le borse di tutto il mondo che hanno visto andare in fumo una cifra spropositata di quattrini e, oltretutto, alle prese con lo spettro di una situazione che potrebbe nuovamente peggiorare. Ne abbiamo parlato con il deputato e responsabile dei dipartimenti di Forza Italia Alessandro Cattaneo.

Il peggio è passato o bisogna tenere le cinture di sicurezza ancora allacciate?

“I mercati hanno già bruciato miliardi di euro che comunque ci vorrà tempo per recuperare. E parliamo, attenzione, non di speculatori, quelli magari anche in queste circostanze riescono a guadagnarci. In molti casi parliamo anche di investimenti distribuiti in vari fondi da parte della classe media, parliamo di aziende che perdono capitalizzazione il che le rende anche più esposte sui mercati. E comunque, rispetto ad altre crisi non si vede ancora la fine. Perché, per esempio, per quanto riguarda la Cina si intravede la logica del dazio contro dazio con una conseguente escalation che può fare solo male a tutti. Una circostanza sulla quale già da tempo avevamo capito che bisognava tenere la guardia alta”.

Cosa si può fare per contenere una situazione così complessa sia sotto il profilo finanziario che dal punto di vista economico?

“La lucidità che abbiamo predicato fin dal primo giorno è la via maestra. Non quindi seguire la strada di un gioco a rialzo, ma dialogare, seppur in un contesto difficile, con pazienza per far capire che i dazi non sono una buona ricetta economica innanzitutto per gli Stati Uniti. Di pari passo, ciò che bisogna fare per sostenere le imprese è innanzitutto essere proattivi nell’affiancare le aziende di più e meglio di quanto già non si facesse per accompagnarle in altri mercati, per incidere in Europa per avere una politica di dazi che sia comunitaria, prudente e giusta, e mantenere comunque aperto un dialogo con gli americani. Per dirla in un titolo, dobbiamo essere europei amici degli americani. Questo è il nostro posizionamento, lavoriamo perché una risposta giusta ai dazi, senza escalation, ma restando amici appunto degli Stati Uniti”.

L’Ue non sembra intenzionata ad allentare le briglie del Patto di Stabilità neanche in questa circostanza. Cosa ne pensa?

“Lo sforamento del 3% è un’estrema ratio che va considerata, da valutare con attenzione. Noi siamo un Paese molto indebitato, c’è il tema dell’inflazione che si riaffaccia perché con i dazi potrebbe esserci una nuova fiammata, potrebbero aumentare i tassi. Finora abbiamo rispettato tutti i parametri, il che ci rende credibili sui mercati. La nostra affidabilità, credibilità, attenzione alla tenuta dei conti pubblici è un vantaggio economico. Quando mettiamo sul mercato centinaia di miliardi di euro nelle aste, il fatto che questo debito venga comprato e lo spread sia basso e venga pagato a un tasso di interesse ridotto rispetto al contesto è dovuto proprio alla nostra affidabilità. Rompere questo meccanismo virtuoso rischierebbe di compromettere questa parte. Si possono però riorientare i fondi di coesione e quelli del PNRR laddove ce ne sia necessità. Insomma, da tempo siamo al lavoro e abbiamo diversi strumenti pronti all’uso”.

Qual è una prima risposta concreta che si può dare alle imprese?

“Oggi dobbiamo, e devo dire che Tajani lo sta facendo già da settimane, radunare e raccogliere tutto il mondo dell’export italiano, realtà come Ice, Sace, le ambasciate stesse, sempre più luogo di sviluppo economico in giro per il mondo, per affrontare questa nuova fase ed esplorare nuovi mercati. Li abbiamo anche identificati, parliamo di Vietnam, Filippine, Far East, Saudi Arabia, Medio Oriente, area del Mediterraneo dove già stiamo giocando un nuovo ruolo di protagonismo con il Piano Mattei, ma anche di mercati tradizionali che possiamo rafforzare come quelli brasiliano o argentino”.

Che aria tira nel mondo produttivo italiano e come possono muoversi le nostre aziende?

“La scorsa settimana sono stato a Vinitaly, anche lì certamente si respira una certa preoccupazione ma sono già state fatte anche delle contromosse. I nostri esportatori non sono stati con le mani in mano, molti hanno già fatto magazzino negli Stati Uniti per l’intero anno. Almeno in parte sul vino, per fare un esempio concreto di cui si è dibattuto, gli imprenditori hanno reagito con prontezza. La situazione è sicuramente serissima, ma bisogna affrontarla passo dopo passo con lucidità”.

La task force di Palazzo Chigi ha già reperito circa 6 miliardi per aiutare le imprese. Possibile recuperare ulteriori risorse?

“Se da un lato siamo quelli che invocano il mercato libero, dall’altro non possiamo noi metterci a fare protezionismo. Se necessario ci saremo come ci siamo stati sui temi energetici, nel rimettere in carreggiata il Green Deal o come al tempo del Covid, ma non credo si sia arrivati ancora a questo. L’export italiano pesa 640 miliardi, dei quali il mercato americano rappresenta il 10%, aiuti di qualche unità di miliardo si possono senz’altro trovate, ma è molto più importante, visti i numeri in gioco, trovare delle risposte come sistema-Paese. È questa è la via maestra, serve una risposta complessiva ed è quello che stiamo facendo con il lavoro della Farnesina con Tajani, con quello di Palazzo Chigi con Giorgia Meloni e con tutti gli altri attori in campo”.


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