Cultura & Spettacolo

IN LIBRERIA – Le assaggiatrici, la banalità del male

di Eleonora Ciaffoloni -


Le assaggiatrici, di Rosella Postorino (Feltrinelli, 2021), è un romanzo che ci conduce in uno dei tanti lati oscuri della Seconda guerra mondiale e lo fa attraverso la voce di Rosa Sauer, una giovane donna berlinese costretta, dalle circostanze, a diventare una delle dieci assaggiatrici ufficiali del Führer. È l’autunno del 1943 quando Rosa, fuggita dai bombardamenti di Berlino, si rifugia a Gross-Partsch, un piccolo villaggio nei pressi della Tana del Lupo, quartier generale di Hitler. Lì, Rosa viene selezionata dalle SS per un compito tanto singolare quanto agghiacciante: assaggiare ogni giorno i pasti destinati al dittatore per verificarne l’eventuale presenza di veleno. In quella mensa forzata, dove la fame e la paura si intrecciano in un rituale quotidiano, Rosa condivide il suo destino con altre nove donne. È un microcosmo femminile fatto di alleanze, gelosie, tensioni sotterranee e momenti di fragile solidarietà. Rosa è la forestiera, la berlinese, e fatica a farsi accettare dalle altre, in particolare dalla carismatica e sfuggente Elfriede. Quando poi arriva il tenente Ziegler, nuovo comandante della caserma, l’equilibrio già precario si infrange del tutto. Ziegler incarna la rigidità spietata del regime, ma tra lui e Rosa nasce un legame ambiguo e disturbante, fatto di attrazione, potere e colpa. Il romanzo, ispirato alla storia vera di Margot Wölk, assaggiatrice di Hitler, è un’opera intensa e disturbante che esplora le zone grigie della sopravvivenza, l’ambiguità morale, la complicità silenziosa e involontaria con il Male. Rosa non è un’eroina, ma una donna comune, fragile, travolta dalla Storia. La sua esistenza è scandita dalla rinuncia: perde la città, il marito, la giovinezza, l’innocenza. Sopravvive, ma il prezzo è altissimo. La guerra la svuota, la indurisce, la priva della capacità di amare, di fidarsi, di vivere pienamente. Postorino sceglie un punto di vista originale per raccontare l’orrore del nazismo, quello delle donne trasformate in strumenti involontari di un potere che le opprime. La forza del romanzo risiede nella capacità dell’autrice di rappresentare la complessità emotiva di Rosa, il suo senso di colpa per essere ancora viva, per aver desiderato, per aver ceduto. La narrazione è intima, introspettiva, quasi claustrofobica, capace di restituire la tensione psicologica di chi vive ogni giorno nell’attesa della morte. Lo stile è raffinato, la lingua di Postorino è precisa, calibrata, capace di illuminare la banalità del male e l’orrore silenzioso dell’abitudine. Un libro non semplice da leggere, ma consigliato per ricordarci di non smettere di essere umani.


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