Economia

PRIMA PAGINA – Chi (s’)offre di più

di Giovanni Vasso -

DAZI DAZIO TASSE TASSA COMMERCIO ESTERO PREZZI GENERATE AI IA


Soffrono i mercati e s’offrono i governi. Cinquanta Paesi, ha detto Kevin Hassent, direttore del National Economic Council della Casa Bianca, hanno già bussato. Coi piedi, si capisce. In mano portano offerte e donativi per convincere Washington a lenire la piaga dei dazi che, solo annunciata e ancora non praticata, ha bruciato centinaia di miliardi in dollari solo nella giornata di ieri. È chiaro, però, che i soldi non si bruciano così come, quando invece le cose in Borsa vanno bene, non si fabbricano. Ma è altrettanto chiaro, forse mai come ieri, l’irrazionalità che, come una dea convulsiva, agisce non sui ma direttamente i mercati. Milano ha chiuso in perdita: -5,18%. Aveva aperto con un canto greco: a -6% poi, così come nel resto d’Europa, per un attimo s’è rianimata arrivando, nel pomeriggio, a contenere le perdite fino al -4%. Era accaduto che, da Wall Street, s’era diffusa una voce: occhio che i dazi si fermano. Una indiscrezione dovuta alla riunione d’emergenza indetta dalla Fed. Poi l’entusiasmo s’è rapidamente fermato ma la disperazione non ha cancellato del tutto i seppur timidi segnali di recupero. È andata così anche a Parigi (col Cac 40 che perde il 4,8%) e a Francoforte col Dax giù del 4,26%. Ma la giornata di ieri, più che nelle Borse, s’è giocata in Lussemburgo. Dove c’è stato l’incontro a 27 dell’Eurogruppo in materia di commercio. Il commissario Ue Maros Sefcovic ha dovuto penare, e non poco, per mantenere la doppia linea della Vecchia Europa. Pugno di ferro e guanto di velluto, o se preferite, disponibilità a negoziare a patto, però, di salvare l’orgoglio. Sefcovic ha ribadito che l’Ue è pronta a puntare sulla diversione, ossia sulla ricerca di nuovi mercati e rapporti commerciali internazionali, e nel frattempo tentare una strada per sostenere imprese e aziende europee. Contestualmente, però, la porta a Washington rimane aperta. Anzi, a sentire Ursula von der Leyen, spalancata: “Abbiamo offerto dazi zero-per-zero per i beni industriali, come abbiamo fatto con successo con molti altri partner commerciali, perché l’Europa è sempre pronta per un buon affare, quindi lo teniamo sul tavolo”. Una proposta così allettante non si vedeva dai tempi in cui Bruxelles poteva permettersi di arricciare il naso di fronte alla proposta del Ttip, il patto transatlantico che avrebbe dovuto creare un mercato unico gigantesco ma di cui, poi, non si fece più nulla. Trattare non vuol dire arrendersi. Questo è il punto. Ma rimane, comunque, politica. E perciò gli esponenti dei governi e dell’Ue che si sono chiusi in (semi)conclave nel Granducato si son ritrovati a dover disputare circa la lista dei prodotti americani su cui minacciare dazi e tariffe. Una sfida non banale nell’Ue dei particolarismi e del bizantinismo burocratico. A difendere le ragioni dell’Italia, c’era il ministro degli Esteri e vicepremier Antonio Tajani. Che, dopo aver ribadito l’idea di affrontare il tavolo delle trattative “a schiena dritta” ha consegnato la lista delle produzioni italiane da tutelare a ogni costo. Dopo qualche ora è arrivata la notizia su cui s’è iniziato a costruire un’ipotesi di mano tesa agli Usa: il whisky non sarà raggiunto dai dazi al 50% minacciati, con scarsissimo successo, dalla Commissione Ue. Ciò dovrebbe salvare vini e produzioni alcoliche europee dalla reazione di Trump che aveva minacciato ulteriori tariffe al 200% sui prodotti Ue. Più che caricare di tasse prodotti e beni, Bruxelles sembra intenzionata a colpire i servizi ossia Big Tech. La stessa von der Leyen ha maliziosamente glissato alle domande affermando che “ogni strumento” sarà messo in campo. Non sarà facile trovare la quadra se è vero quanto ha già detto, a Cernobbio, il ministro all’Economia Giancarlo Giorgetti che il progetto di una global minimum tax, anche grazie agli sforzi dell’amministrazione Biden, è “definitivamente morto”. Da tempo. Mercati e governi. In Asia si inizia a muovere qualcosa. La Cina studia da grande potenza nonostante il tracollo della Borsa di Hong Kong (attorno al 10%). Ma Trump non ci sta e minaccia di portare le tariffe al 50% se Pechino non farà un passo indietro rispetto ai controdazi. E ci va giù a muso duro e dopo aver tuonato, su Truth, che “l’inflazione in America non c’è” e che la Cina è “un grande sfruttatore” ha dato il via alle danze: “Tutti i colloqui con la Cina relativi agli incontri da loro richiesti saranno interrotti. Inizieranno invece trattative con altri Paesi che hanno richiesto incontri”. Detto, fatto. Il Giappone ha già iniziato a trattare con il primo ministro Shigeru Ishiba che ha chiamato Trump per avviare i negoziati. Il Vietnam, per il sollievo di Nike e delle altre multinazionali dell’abbigliamento, ha offerto l’azzeramento delle tariffe dopo l’imposizione di dazi Usa al 46%. L’Ue, quando avrà terminato il ballo a 27 a Lussemburgo, inizierà sul serio le trattative. I mercati soffrono, i governi s’offrono. E non possono fare altrimenti. In serata s’è riunita la task force del governo Meloni anche in vista del viaggio americano della premier il 16 aprile prossimo. L’incontro è durato un’ora e quaranta minuti: hanno partecipato, insieme alla premier e ai vice Salvini e Tajani, i ministri Giorgetti, Urso, Foti e Lollobrigida. Oggi pomeriggio si entrerà nel vivo con l’incontro in programma con le organizzazioni produttive.


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